ACCATTONE e, più in generale, una riflessione sul cinema di Pasolini

Almeno un giorno sì uno no ripasso su Ponte Testaccio, sicuramente tutte le domeniche mattina andando a Porta Portese e ricordo una morte che non c'è mai stata, una moto che non è mai volata .

La finzione di realtà in Accattone è così forte, come in tutto il cinema di Pasolini, che su Ponte Testaccio sono morte davvero migliaia di illusioni ed altre ad Ostia e Fiumicino per ritrovarsi poi tutte un attimo dopo di domenica mattina nel casino di Porta Portese. Lello, Albertino, Giovanni, Enrico, Dario, Amelia morti prima del tempo suicidi di vita e poi Francone, Lucio, Germano, Giancarlo morti di galera; Goffredo morto di cuore. Ormai al cimitero acattolico di Testaccio accanto a Gramsci ho molti amici, ma non mi fermo mai, preferisco tirar dritto per il Mattatoio, verso una nuova musica ancora.

Non so, né voglio sapere, dove è sepolto Pasolini. Non andrò mai sulla tomba di mio padre. Noi atei i nostri morti li ricordiamo ogni giorno nei loro luoghi di vita e soffriamo di più: sappiamo che ci mancano davvero per sempre e con loro non potremo mai più litigare...

Accattone 1961

Produzione: Arco Film - Cino del Duca. Produttore: Alfredo Bini. Regia e sceneggiatura: Pier Paolo Pasolini. Aiuto Regia: Bernardo Bertolucci e Leopoldo Savona. Collaborazione ai dialoghi: Sergio Citti. Fotografia: Tonino Delli Colli. Montaggio: Nino Baragli. Musica: Johann Sebastian Bach. Interpreti: Franco Citti (Accattone), Franca Pasut (Stella), Silvana Corsini (Maddalena), Paola Guidi (Ascenza), Adriana Asti (Amore). Esterni: Roma. Durata: 120 minuti. Distribuzione: Cino del Duca.

Fin dal '54 Pasolini aveva lavorato nel cinema. Soggetti, sceneggiature, collaborazione ai dialoghi, aveva perfino fatto l'attore per Carlo Lizzani ( Il gobbo , 1960), ma è come regista di Accattone che si misura con una macchina produttiva ben più complessa e vincolante della pagina di scrittore.

Coraggio, curiosità e una grande ambizione debbono aver spinto questo dilettante in un'arena popolata dai mostri sacri del neorealismo italiano, dai sofisticati prodotti francesi e dai giganti americani. Vi farà un cinema a modo suo, iconico e simbolico, pur con tutto quel parlare di corpi e di luoghi.

Nei cinema parrocchiali del Friuli Pasolini aveva visto e rivisto il danese Dreyer, il giapponese Mizoguchi, il tedesco Murnau, il russo Ejzenstein, l'americano Chaplin. All'università, con l'amatissimo Roberto Longhi aveva studiato Masaccio, Caravaggio, Pontormo, Rosso Fiorentino. Decisiva, nella formazione dell'immaginario pasoliniano e nella traduzione cinematografica, la lezione di Roberto Longhi: Che cosa faceva Roberto Longhi in quell'auletta appartata e quasi introvabile dell'università di via Zamboni? ... Il corso era quello memorabile sui "Fatti di Masolino e di Masaccio" ... Sullo schermo venivano proiettate delle diapositive ... Il cinema agiva ... e agiva opponendo inquadrature del mondo di Masolino a inquadrature del mondo di Masaccio. Il manto di una Vergine al manto di un'altra Vergine: Il frammento di un mondo formale si opponeva quindi fisicamente, materialmente al frammento di un altro mondo formale: una "forma" a un'altra "forma".

Nel 1960 era uscito il capolavoro di Godard, À bout de souffle (titolo italiano Fino all'ultimo respiro), la lunga rincorsa di un balordo che finirà male. Una vicenda on the road . Storia metropolitana quella di Godard, storia di borgata Accattone di Pasolini.

Vittorio, disoccupato e magnaccia, è Accattone (lo interpreta Franco Citti, scelto proprio perché non era né un bravo attore né un attore). È il classico bullo, disoccupato cronico e "pappone". Vive sfruttando Maddalena, una prostituta. Attraverso una sequenza di episodi - una sorta di gara a tappe - Vittorio corre verso la tragica conclusione, la morte violenta. Come Jean Paul Belmondo in Godard, Accattone di Pasolini muore in strada, dove si compie il destino che pesa su di lui fin dall'inizio.

Siamo sulla stessa linea delle esistenze senza riscatto di Ragazzi di vita e Una vita violenta . Esistenze dominate da una tragica necessità anche nei film che seguono: Il Vangelo secondo Matteo (1964), Edipo re (1967), Medea (1970).

Nel 1962 Bini produce un film a otto mani, Rogopag (quattro episodi di ROssellini, GOdard, PAsolini e Gregoretti). Ogni regista lavorò per conto suo. L'episodio di Pasolini, La ricotta , 35 minuti di film ambientati nella campagna romana, presenta un set dove si gira un'unica scena, una crocifissione. Il personaggio-attore, che fa il ladrone buono, è un poveraccio soprannominato Stracci , che sgraffigna il cibo delle colazioni sul set per darlo ai suoi famigliari. È così realistica la sua interpretazione che, mentre lo riprendono "inchiodato" sulla croce, muore veramente. Le scene del Calvario pasoliniano dirette dal personaggio-regista Orson Welles verranno giudicate blasfeme e il film passerà i suoi guai. Giuseppe Di Gennaro, allora sostituto procuratore a Roma, ordinò il sequestro della pellicola e istruì il processo a Pasolini accusato di "vilipendio della religione di stato". Intervistato nel '68 da Jon Halliday, Pasolini ricorda: Non saprei ancora dire esattamente perché e di che fui imputato, ma per me si trattò di un periodo tremendo. Fui diffamato pubblicamente per settimane e settimane, e poi per due o tre anni dovetti subire una specie di persecuzione inimmaginabile. Non posso, tuttavia, dire veramente perché tutto questo sia avvenuto, se non come espressione dell'opinione pubblica.

È universalmente noto che Pasolini ebbe numerose disavventure giudiziarie. Gran parte provocate dai suoi film. Fa una notevole impressione vedere tutti insieme i capi d'accusa e le relative inquisizioni che lo perseguitarono. Secondo una ricostruzione di Pietro Mastroianni (20 pagine di imputazioni) Pasolini fu convocato dalla giustizia italiana 318 volte da vivo e 48 da morto. Una media di dodici volte per anno. E la stima, per la vastità del materiale e la sua dispersione in tutta Italia , riguarda approssimativamente il 70 per cento delle procedure attivate. Qualcuno ha avanzato ironicamente l'ipotesi che la giustizia italiana fosse in quegli anni troppo impegnata con Pasolini per occuparsi della corruzione che intanto dilagava come un ultracorpo nelle istituzioni e nella società. 

Forse è la drammatica coscienza di una sproporzione fra lui stesso chiamato continuamente a render conto e l'impunità dei criminali veri che muove l'ossessiva richiesta di processare il Palazzo ( Lettere luterane ). La vicenda orribile della diga del Vajont, ormai parte del rimosso collettivo, è lì a ricordare che l'Italia degli anni '60 non ha nulla da invidiare alla Milano manzoniana in cui la peste dilaga con la complicità e per l'incuria delle pubbliche autorità. 

Sequestri, denunce, processi per Teorema, Porcile, Decamerone, Canterbury, Le Mille e una notte. E siamo già ai primi anni settanta. 1971, 1972, 1974: esce la Trilogia della vita ( Il Decameron, I racconti di Canterbury, Il fiore delle Mille e una notte ). Con il Decameron Pasolini raggiungeva per la prima volta un pubblico vasto ed eterogeneo. Il film occupò i primi posti nelle graduatorie degli incassi, e non solo in Italia. Come ha rilevato Adelio Ferrero né il paesaggio rigoglioso che suggerisce profumi intensi, né l'esibita vitalità di corpi morbidi e nudi e l'insaziabilità del sesso impediscono l'affiorare, qui come negli altri due film della Trilogia, del tema della morte. Disperata vitalità, appunto.

 

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