C' ERAVAMO TANTO AMATI  di Ettore Scola  di Graziano Marraffa - Parte 3

LA MALINCONICA IRONIA DELL'IDEALISMO

Partendo dall'idea di realizzare la storia di un'intellettuale che viene a Roma con l'intento di uccidere Vittorio De Sica, colpevole di aver abbandonato il neorealismo per concedersi al cinema più ovviamente commerciale, Age e Scarpelli (due dei padri della commedia all'italiana) ne modificano il copione attenuando il tono più decisamente politico ed eliminando ogni volgarità prevista nei dialoghi , scritti insieme alla sceneggiatura con Ettore Scola il quale orchestra magistralmente nel film la summa di trent'anni di cinema e storia italiani.
Riallacciandosi principalmente ad argomenti trattati in film precedenti quali "Una vita difficile" (1961) di Dino Risi, "La rimpatriata" (1963) di Damiano Damiani, e "Il padre di famiglia" (1967) di Nanni Loy, Scola , come di consueto nel suo stile, li attualizza per poi condurli con maturità alla conclusione.

il regista Ettore Scola
Il film è un eccellente capolavoro di rara sensibilità narrativa che si distingue in un profondissimo intimismo e, grazie al grandioso impegno di risorse di autori e interpreti raggiunge la perfezione, consacrando la commedia all'italiana come l'esempio più efficace di rappresentarci nel mondo.
Alternandosi continuamente nella descrizione di vicende private ed eventi storici (La resistenza, la nascita del Neorealismo, il boom economico, il post '68) con singolare senso del ritmo e originalissima capacità espressiva (semplicemente geniale l'idea di usare il b/n per la rappresentazione dei flash-back), il film racchiude in se tutte le tematiche espresse nel cinema italiano, rileggendole in chiave sincera e antiretorica con delicata malinconia e fantasiosi dialoghi umoristici.

Nino Manfredi nel ruolo dell'umile portantino combattivo ma coerente con se stesso e fedele ai propri ideali, incarna il più bel ritratto di antieroe che sia stato mai realizzato; Vittorio Gassman esprime mirabilmente l'arrivismo del piccolo borghese italiano, conferendo al suo personaggio note di freddo cinismo mai raggiunte precedentemente; Stefano Satta Flores dipinge la figura dell'intellettuale frustrato, caratterizzandola con originali trovate verbali (che ripeterà, con maggiore enfasi cinque anni dopo ne "La terrazza", film col quale si conclude la stagione d'oro del cinema italiano).

In quanto alle donne, Stefania Sandrelli rifacendosi un po' al personaggio che la vide protagonista ne "Io la conoscevo bene " (1965) di Antonio Pietrangeli, interpreta la sua Luciana con sapiente autoironia e spontanea ingenuità, mentre Giovanna Ralli nel tenerissimo ruolo di Elide, raggiunge l'apice della sua carriera cinematografica, conquistandosi il Nastro d'Argento come migliore attrice non protagonista.
Infine il grande Aldo Fabrizi nella sua ultima superba interpretazione: un capomastro arricchitosi e divenuto palazzinaro che nonostante l' età avanzata, conserva una grinta inattaccabile ("io nun morooooo!!!" tiene a precisare nell'orecchio del genero Gassman verso il finale).
Partecipano al film nel ruolo di loro stessi, fondamentali protagonisti dello spettacolo italiano quali Federico Fellini (vittima di uno scherzo di Scola che lo fa chiamare Rossellini da una comparsa), Marcello Mastroianni (che in un primo momento sarebbe dovuto essere, insieme a Sordi e Cementano uno dei tre protagonisti), Mike Bongiorno (ripetendo il cameo già concesso in Totò lascia o raddoppia? -1956- di Camillo Mastrocinque) e Vittorio De Sica regalando alla storia del cinema il suo ultimo, memorabile primo piano e alla quale memoria è dedicato l'intero film , che riuscirà a vedere poco prima di morire, a breve distanza dall'uscita nelle sale.
Nonostante la vastità del racconto, che si chiude su se stesso, il film risulta compatto e mai frammentario, lineare nell'impiego dei protagonisti, intelligentemente disposti sullo stesso piano in modo che nessuno prevalga sull'altro; il tutto commentato dalle struggenti musiche del maestro Armando Trovatoli che per l' occasione crea la più bella colonna sonora della sua carriera.

Graziano Marraffa 4-5-2001

Dopo la cosiddetta stagione dei "telefoni bianchi" , negli anni '40 il cinema italiano ebbe uno dei periodi di massimo splendore attraverso quel magistrale stile d'espressione che prese il nome di Neorealismo.
Contemporaneamente, a contrastare i profondi intenti civili e sociali dei cineasti, vi si scagliò l'ordine dei censori, novelli Catoni della celluloide.
Uno di questi, l'allora sottosegretario Giulio Andreotti , ebbe il coraggio di stroncare capolavori del livello di "Ladri di biciclette" (1948) e "Umberto D" (1952) entrambi diretti da Vittorio De Sica col fedele apporto di soggettista di Cesare Zavattini , commentando semplicemente con la fatidica frase: "I panni sporchi si lavano in casa" (episodio che verrà più tardi ben descritto da Ettore Scola in " C'eravamo tanto amati " (1974). G.M.

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