INTERVISTA esclusiva a IVO DE PALMA   di Michelangelo Gregori

Questa volta permettetemi di essere orgoglioso di presentare un'intervista ad una voce che esprime mille facce, o ad una faccia che può esprimere mille pensieri. Con tutta la stima possibile, vi presento l'intervista al grande Ivo De Palma, con un pizzico, da parte mia di compiacimento personale

Ivo de PalmaDOMANDA: Come nasce la tua passione per il mondo dell'arte?
RISPOSTA: Con il mio insegnante di recitazione di allora, Ernesto Cortese, ormai scomparso da tempo. Nel salotto della sua abitazione, dove teneva gli incontri con gli allievi, il suo carisma era in grado di farti respirare l'aria del palcoscenico. C'era qualcosa, nel suo modo di trasmetterti i fondamenti, di raccontarti aneddoti e retroscena, che arrivava dritto al tuo immaginario, rafforzando senz'altro anche le motivazioni più incerte. Mi ero rivolto a lui per migliorare la mia resa radiofonica, per approfondire un minimo di espressività dopo il corso di dizione. Alla seconda lezione già volevo fare l'attore…

D: Ti interessi di teatro, cinema, radio doppiaggio, in quale di questi campi ti trovi meglio?
R: Beh, vivo principalmente di microfono da oltre vent'anni, quindi credo che qualcosa, nella mia storia professionale, sia lì da tempo a rispondere alla domanda. Poi, per un attore è senz'altro un bene diversificare, quindi mi sono trovato a impegnarmi, e a faticare o a divertirmi, a seconda dei casi, anche facendo altro. Ma l'uso della voce al microfono resta il patrimonio tecnico/artistico cui ricorro più naturalmente, e che di conseguenza ho potuto rafforzare e arricchire più di altre possibilità espressive.

D: Si discute tanto del doppiaggio in Italia, un bene o un male, tu cosa ne pensi?
R: Ne penso bene: l'Italia è famosa nel mondo per la Formula 1, il calcio, gli spaghetti, la moda e… il doppiaggio. Vabbè, anche per la mafia, ma sorvoliamo…Il doppiaggio, comunque, è un servizio. Ha senso discutere dell'utilità di un servizio? Direi di no, finché i fruitori di tale servizio sono e restano svariati: produttori, distributori, sale cinematografiche, emittenti televisive, inserzionisti pubblicitari, oltre naturalmente al grande pubblico, che non a caso, paradossalmente, cito per ultimo, giacché la pretesa di rendergli più agevole la comprensione ha in realtà lo scopo primario di arricchire i vari profittatori citati prima…

Detto questo, è pratica che personalmente mi emoziona tutt'ora e che senz'altro è giusto aspettarsi venga realizzata con ogni cura possibile: quando l'utilità di un servizio è fuor di dubbio, è giusto pretenderlo al massimo livello. Questo credo che mediamente avvenga, con una certa soddisfazione da parte del pubblico, in genere abbastanza rispettoso del nostro apporto all'edizione italiana di un film. Chi desidera conoscere anche le interpretazioni vocali originali può comunque farlo in seconda battuta, rivedendo il film nella lingua di partenza. Al cinema quando possibile, o su DVD. Se poi è addirittura in grado di seguirlo direttamente in originale, ne sono contento per lui. Io, però, lavoro a beneficio degli altri…

In relazione ai prodotti prettamente televisivi direi che il problema non si pone proprio. A qualcuno interessa vedere Derrick in tedesco? Heidi e Lady Oscar in giapponese? Sentieri in americano? Credo proprio di no. E se consideriamo che anche i grandi film del cinema non possono certo rinunciare (cosa che avverrebbe senza il doppiaggio) alle prime serate televisive, che ne allungano la vita commerciale per decenni (con tutte le ricadute pubblicitarie del caso), prevedo che la scomparsa del doppiaggio italiano sia un problema che affronteranno, forse, i pronipoti dei miei bisnipoti…

Sottotitoli? No grazie. Distraggono dall'immagine (e trattandosi di cinema parliamo di un peccato mortale). Non traducono tutto, specie se devono tener dietro a dialoghi particolarmente vivaci.

Anticipano, per questo motivo, varie battute. Un po' come avere accanto il classico odioso amico che ha già visto il film e ti sussurra le battute successive rovinando la sorpresa. Oltre che probabilmente l'amicizia…

dal corto di Pasquale Ruju "Password" (dal corto di Pasquale Ruju "Password")

D: Una voce per tanti volti, come prepari i tuoi personaggi?
R: Fortunatamente, dopo oltre vent'anni, i principali “cliché” legati ai ruoli più adatti alla tua voce non hanno più molti segreti. Il doppiaggio televisivo, che per una voce impegnata prevalentemente al nord rappresenta l'attività principale, non ti dà molto tempo per “preparare” i personaggi. Del resto, le modalità di questo lavoro sono comunque molto diverse da quelle finalizzate a una messinscena teatrale, per la quale occorrono mesi, o quantomeno settimane, di prove. Tutto ciò che posso aggiungere è nella risposta alla domanda successiva.

D: Quanto attore c'è dietro un doppiatore?
R: Auspicabilmente molto. Il doppiaggio non consente di andare molto oltre il brusio, o il documentario, o il codino pubblicitario, se non si hanno qualità attorali evidenti e riconosciute. La bella voce, paradossalmente, non basta, a parte il fatto che lo stesso concetto di bella voce è molto più soggettivo di quanto non fosse in passato. Così come non basta semplicemente parlare sul sincrono labiale. Bisogna recitare. E spesso recitare il “non recitato”, cosa che fa sembrare il risultato molto semplice e naturale, ma che in realtà implica una perizia non comune nell'uso espressivo della voce. All'inizio ti chiedono di essere un jolly buono un po' per tutti i ruoli: va benissimo, perché così entri prima nel giro, diversifichi molto e arricchisci in fretta il tuo bagaglio. Poi, però, è solo la cifra personale a confermare il tuo valore. Più personalità hai, migliore è la tua resa su quel volto, su quel vissuto. Chi ti sceglie lo fa pensando che solo tu possa rendere quel ruolo in quel dato modo. E' un altro paradosso, ma nel doppiaggio (così come in genere nella traduzione) è centrale: se il filtro è neutro, il risultato è convenzionale, se non scialbo. Se il filtro è ricco di proprio valore aggiunto, il risultato è strepitoso.

D: Dopo parecchi anni di professione, che idea ti sei fatto del mondo in cui lavori?
R: Il doppiaggio è un lavoro bellissimo, ma solo a patto di essere messi nella condizione di farlo bene, e questo, purtroppo, non sempre accade. Occorrono i presupposti logistici e tecnici che ti consentano di lavorare effettivamente sulla voce e con la voce, cioè sale di doppiaggio attrezzate per valorizzare il dettaglio dell'esecuzione vocale; occorrono direttori con il gusto della vera e propria regia vocale, che vadano quindi un po' oltre il controllo del sincrono e l' uso standard della voce; occorre un clima di libertà creativa che ti consenta, ove necessario, di restituire nella lingua d'arrivo ciò che non sarebbe altrettanto efficace, se trasposto pedissequamente dall'originale: una libertà di "tradire", purché con raffinato buon gusto, che (anche qui paradossalmente) è la più alta forma di rispetto verso il prodotto originale, poiché finalizzata alla sua più alta resa possibile nella lingua d'arrivo. I pro e i contro del doppiaggio stanno qui, nella presenza o nell'assenza di queste condizioni. Nella possibilità di usare la voce come strumento sensibile, specchio del pensiero che sta dietro ogni battuta, o nell'obbligo di farne soltanto un rozzo e piatto megafono, come in certi contesti è ormai prassi consolidata. Riscontro, inoltre, che le esigenze della struttura che ti dà il lavoro (quando te lo dà…) sono diametralmente opposte a quelle che hai tu come singolo professionista. Tu hai bisogno di spaziare, diversificare i ruoli e l'impegno tecnico e artistico, in una parola: crescere professionalmente. Loro hanno bisogno di impiegare una voce sulla base della sua resa migliore, quindi, sostanzialmente, tendono a farti fare sempre le stesse cose. Conosco bravissime colleghe che manco sanno com'è fatta la loro voce naturale, dopo anni passati a storpiarla su ragazzine, ragazzini o mostriciattoli… Una volta, come garanzia intermedia tra struttura e professionista c'era il peso e il prestigio del direttore di doppiaggio. Ma anche questa figura, purtroppo, ha via via perduto autonomia e prerogative, quantomeno nei contesti più commerciali.

dal corto di Alessandro Righetti "Contratto a lume di candela" (dal corto di Alessandro Righetti "Contratto a lume di candela")

D: Oscar Wilde diceva “L'artista può esprimere tutto” poi di rimando “L'arte è completamente inutile”? cosa ne pensi?
R: Penso che riflettere sugli aforismi di Wilde, che fu uomo d'arte di levatura intellettuale straordinaria, faccia bene a qualunque artista. Ma credo che chi fa il mio mestiere si trovi più spesso a meditare sul disperato sussurro di Bruce Chatwin: “Che ci faccio qui?”. Lo stesso Wilde, peraltro, che pagò piuttosto care certe aperture di pensiero, ebbe probabilmente a porsi una domanda del genere per almeno due dolorosi anni (trascorsi nel carcere di Reading). E molto prima che nascesse Chatwin…

D: Il campo in cui operi è per te: un lavoro, una passione o un'ossessione?
R: E' un lavoro appassionante, con tutto ciò che di ossessivo comporta la passione per un'attività fortemente specializzata.

D: Ivo De Palma cosa pensa di Ivo De Palma?
R: Professionalmente? Che poteva andargli meglio. Ma in fondo anche peggio. Che poteva essere più bravo, ma tanto, per quanto uno sia bravo, c'è sempre qualcuno un gradino più sopra, a questo mondo. Insomma, tendo a non lamentarmi troppo, anche se ogni giorno cerco di fare meglio ciò che ho fatto il giorno prima, segno che, ben lungi dall'essere “arrivato”, mi sento in realtà ancora in viaggio. Umanamente? Mah, credo di essere diventato maggiorenne attorno ai 40 anni (cosa che penso di svariati altri individui di sesso maschile…), quindi all'incirca 3 anni fa. Ne riparliamo nella prossima vita…

D: Cosa vorresti fare “da grande”?
R: L'operatore culturale a tutto campo, che non significa ripudiare la mia storia e il mio patrimonio professionale ma, al contrario, inscriverli in un discorso molto più ampio e dedicarli a iniziative che finalmente partano da una forte e costante progettualità personale. Le strutture Eikonteatro e Dubsters, che dirigo da qualche anno, costituiscono, in modi differenti, il materiale, e per il momento molto faticoso, sforzo di tradurre in realtà questa aspirazione.

D: Cosa ne pensi di tutta l'attuale diatriba che vede diminuiti di molto, i soldi per il campo artistico in Italia?
R: Se cultura e spettacolo sono considerati beni superflui e non, come invece dovrebbero, elementi di formazione e di crescita dell'individuo, non vedo come questi soldi possano crescere… E purtroppo il pubblico, rimbambito dai bisogni fittizi inoculati dalla pubblicità (e dai tanti prodotti di intrattenimento idiota pagati dalla pubblicità), non è nemmeno in grado, in termini di grandi numeri, di rendersene conto, di rivendicare un'offerta culturale all'altezza di un cittadino degno di questo nome.

D: Cosa pensi dei tuoi colleghi?
R: Ringrazio il cielo di avere trovato sulla mia strada un certo numero di colleghi che hanno deciso di accogliermi e di impiegare il loro tempo, la loro intelligenza, la loro bravura per insegnarmi questo mestiere. Nel mio piccolo, è una lezione che non ho mai dimenticato, un atto di generosità che ho sempre cercato di ricambiare con tutti i principianti che ho voluto, e diretto, in sala di doppiaggio, o che ho avuto, e ho tuttora, come allievi nei miei corsi.

Dopodiché, in oltre vent'anni di professione se ne vedono di cotte e di crude… Sulla categoria in generale, è evidente che ognuno di noi tende ad essere un po' individualista, per motivi legati sia alla fisiologia dell'estro attorale, sia al contesto concorrenziale in cui operiamo. Questo finisce con l'influire negativamente sulla forza contrattuale collettiva: a farne le spese, i principianti e i molti ottimi professionisti che non possono abbinare al proprio valore la popolarità presso il grande pubblico. Su altri colleghi, presi individualmente o in quanto aderenti a strutture di vario tipo, non posso pubblicamente pronunciarmi. Ne ammiro svariati, e rischierei la retorica. Detesto in particolare, viceversa, i falsi colleghi, quelli che se va bene arrivano dal chiacchiericcio pubblicitario, ma che grazie a contatti di varia natura si procacciano il lavoro, accreditandosi addirittura come direttori... Qui rischierei senz'altro la querela. Meglio tacere.

D: Facendo innumerevoli corsi, qual è la prima cosa che cerchi di far imparare?
R: Molti allievi non sanno fare la cosa più importante che un allievo deve saper fare, cioè… l'allievo. Non sanno fidarsi di se stessi, ma, anzi, di se stessi diffidano.

Non sanno fidarsi del loro insegnante, ma, anzi, spesso se ne difendono.

Morale della favola: non riconoscono i propri miglioramenti, non riconoscono il valore di un progresso minimo ma significativo, non riconoscono l'immenso valore didattico del tempo che trascorre e che consente, ai semi piantati settimane o mesi (talvolta anche anni…) prima, di dare finalmente qualche frutto. Perdono quindi motivazione, non si impegnano quotidianamente e per ciò stesso si fermano. Di conseguenza, rispetto a chi va avanti, arretrano.

Un allievo, che aspiri a fare il sarto o il doppiatore, deve saper fare innanzitutto l'allievo: il resto arriva di conseguenza. E arriva molto prima.

D: Il campo artistico è davvero un circolo chiuso?
R: E' un argomento di discussione che mi è stato proposto spesso, specie in merito al sospetto di subire discriminazioni in favore di raccomandati o figli d'arte. A tale riguardo, ho sempre sostenuto che eventuali parentele danno l'unico aiuto che abbia un certo valore: la possibilità di crescere imparando a fare questo mestiere in modo naturale. Si tratta di giovanissimi che respirano determinate atmosfere negli anni più verdi, quelli del "massimo apprendimento col minimo sforzo": imparano, quasi senza accorgersene, ad essere attori e, successivamente, nel caso del doppiaggio, a recitare con la tecnica del sincrono. Dopodiché è chiaro che a vent'anni sono già espressivamente maturi, e quindi avvantaggiati rispetto a chi, a quell'età, comincia il cammino.
Io, comunque, non sono figlio d'arte. Il che qualcosina, anche in termini generali validi per tutti, vorrà pur dire…Per quanto riguarda le raccomandazioni, esistono nel doppiaggio come dappertutto.
Chi è bravo le merita. Chi non è bravo non le merita. Può darsi che in svariati ambiti dello spettacolo si possa andare avanti a forza di spintarelle varie. In un ambito fortemente specializzato come il doppiaggio, viceversa, chi non è bravo, raccomandato o no, di strada ne fa ben poca...

E allora come mai, direte voi, ci ritroviamo i vari Laurenti, Amanda Lear, Tiziano Ferro, Fiorello e via discorrendo in sala di doppiaggio? La scelta di marketing è ovvia, così come scontato è il fastidio con cui doppiatori di lungo corso accolgono operazioni di questo genere. Ma non sono certo due o tre grossi big che una volta l'anno entrano in sala di doppiaggio a togliere il pane di bocca a un doppiatore professionista. Paradossalmente, sono eccezioni che del doppiaggio confermano l'opportunità, quantomeno commerciale, quindi non mi scalderei più di tanto. Alcuni sono anche bravi, essendo, come Fiorello, dei fuoriclasse. Molti altri devono una resa più o meno sufficiente ai direttori di doppiaggio, e al modo in genere più curato di lavorare ad un doppiaggio destinato al cinema. Nel mio piccolo anch'io, su alcuni cortometraggi per i quali avevo molto tempo a disposizione, ho ottenuto prestazioni più che dignitose da gente che mai era stata a microfono in vita sua: gran lavoro nel momento della registrazione, ma naturalmente anche dopo, in post-sincronizzazione. E in fondo è giusto così, perché anche questo è il compito di chi ha la responsabilità di un'edizione italiana, o comunque della post-produzione dei dialoghi di una fiction cinetelevisiva: lavorare con le risorse tecniche e umane che ha a disposizione per ottenere un buon risultato (artistico, ma possibilmente anche commerciale), cercando di far ben figurare tutti quanti. Un direttore di doppiaggio d'altronde, come del resto un doppiatore, viene chiamato non quando va tutto bene, ma quando c'è un problema: per risolverlo, naturalmente. E' un peccato che non tutti i big esprimano la pubblica riconoscenza per il nostro ambiente con cui Tiziano Ferro ha voluto recentemente gratificare i professionisti che lo hanno aiutato a prestare la voce, in modo più che dignitoso, al protagonista del bel film d'animazione Shark Tale: se un doppiatore venisse da noi per fare un cd, ha dichiarato, non so se verrebbe trattato così bene come sono stato trattato io…

D: Cosa ti senti di dire ad un giovane che vorrebbe intraprendere il tuo mestiere?
R: La mia posizione sta esattamente nel mezzo dei due odiosissimi atteggiamenti in cui un aspirante doppiatore è solito imbattersi: quello di alcuni “mostri sacri” che senza mezzi termini risponderebbero “gli direi di fare un altro mestiere” e quello di alcuni altri (molto meno “sacri”…) che scrivono fregnacce da marketing di serie Z, tipo “abbiamo bisogno di giovani colleghi!”.

La realtà è che eravamo già troppi quando, oltre vent'anni fa, ho cominciato io. Ma questo non ha impedito, a me e a tutti i colleghi che avevano le carte in regola per emergere, di avviare e condurre in porto la nostra carriera. Il ricambio delle voci è fisiologico, non si può avere in eterno la freschezza dei vent'anni. Prima o poi le qualità di un giovane agli esordi, se sorrette dalla saldezza della propria motivazione, danno i loro frutti, anche in un mercato saturo come il nostro. Certo, se poi uno mi dice che ama dormire solo sonni tranquilli, mi vedo costretto a suggerirgli, mio malgrado, di guadagnarsi il pane in modo più convenzionale…

In ultimo, se posso permettermi di chiudere con un po' di promozione personale, all'aspirante professionista della tua domanda risponderei di venire ad impararlo da me, questo mestiere. Senza raccontargli che “ho bisogno di giovani colleghi”, naturalmente… Affrontare le basi di questa professione deve essere innanzitutto un'esigenza sua. Ma se per i suoi primi passi nell'ambiente cerca un insegnante motivato, un professionista competente, un punto di riferimento riconosciuto, beh… più mi guardo allo specchio, più mi sembra di rispondere alla descrizione.

E allora cosa aspettate tutti voi aspiranti, seguite con fiducia il consiglio di Ivo che ringrazio innanzitutto per la disponibilità, la franchezza e la simpatia. Chiunque ne volesse sapere di più può collegarsi al sito: www.ivodepalma.it

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