La formazione dell'Attore

di
Laura Peja


L'attore, in quanto artista/artigiano, deve conoscere le regole e le tecniche della sua arte. Esiste quindi la necessità specifica di "imparare un mestiere".
Le modalità con cui avviene ed è avvenuta nei secoli questa formazione possono essere molto varie (e di fatto lo sono e lo sono state). Anche se pare che già ai tempi di Scipione esistessero a Roma delle scuole di teatro e musica, per molti secoli (soprattutto con la Commedia dell'Arte) il mestiere del teatro viene concepito come una sorta di bottega artigiana, dove ai maestri si affiancano gli apprendisti, che, svolgendo i lavori più umili, osservando, imparano.

È solo nel Novecento -come ricorda Barba- che «trionfa l'idea d'un addestramento dell'attore che avvenga lontano dalle routine del mestiere, fuori dall'influenza di un ambiente caratterizzato da cliché, abitudini deleterie e dall'obbligo di calcare prematuramente la scena. Era la possibilità di iniziare a condurre a termine un proficuo processo di apprendistato, sviluppando le proprie capacità creative senza farsi sfruttare economicamente dai direttori di compagnia». (Barba 98/99, p. 49)

Esiste poi anche un'altra possibilità di intendere la formazione teatrale, riconoscendo al teatro delle potenzialità pedagogiche e intendendo quindi la formazione non più come "avviamento professionale", ma come possibilità educativa, di formazione dell'uomo prima ancora che dell'attore.
Di queste possibilità erano pienamente consapevoli già nel Seicento i gesuiti e i barnabiti, ad esempio, i quali nel cursus studiorum delle loro scuole prevedevano anche la pratica teatrale; e nell'Ottocento le prime scuole per il teatro di prosa sorte in Italia miravano soprattutto a formare degli uomini che sapessero esprimersi in pubblico con correttezza, proprietà e rigore: «non tanto dunque una scuola per il teatro, quanto un insegnamento teatrale che diventa scuola per la vita». (Molinari 1992, p. 92)

È nel Novecento che la scuola, la pedagogia, la situazione di lavoro in quanto tale è stata la direzione costante di ricerca e di prassi di quelli che giustamente Fabrizio Cruciani ha chiamato i "registi pedagoghi" (maestri come Appia e Craig, Stanislavskij, Copeau, Mejerchol'd, Dullin, Brecht, Artaud, Grotowski, Barba…). Essi si sono orizzontati sulla necessità di un milieu di ricerca (la scuola, il gruppo) per costruire attori nuovi ancor prima che bravi. E la pedagogia, le scuole, si sono poste come un modo forte di esistere del teatro oltre gli spettacoli, come luogo della cultura del teatro, scuole in cui -dice ancora Cruciani- «si ricercano (si sperimentano si usano) tecniche 'teatrali' o affini, nel senso dell'imparare le possibilità del corpo e della psiche, sono 'scuole' per l'uomo, per le sue possibilità espressive, non quotidiane, che si orizzontano su quel terreno da cui sembrano nascere le 'leggi' del lavoro dell'attore e anche del teatro». (Cruciani, alla ricerca di un attore non progettato, p. 90- civiltà XX sec)

I testi di Laura Peja sono tratti dal sito "Gli elementi del teatro. Attrezzi per capire la scena"
reperibile all'indirizzo: www.piccoloteatro.org/elementi

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