RASSEGNA STAMPA sui CORTOMETRAGGI e sulla Cultura cinematografica di ogni tipo...

 

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IL primo Oscar italiano è del ’47: Sciuscià, capolavoro del neorealismo firmato De Sica. L’ultimo è del 2004 e andò a Dante Ferretti per le superbe scenografie di The Aviator. E il più pirotecnico, è il pieno di statuette (furono ben tre) vinte da La vita è bella nel ’97: Roberto Benigni andò sul palco a ritirare il premio, che gli venne consegnato da un’emozionatissima Sofia Loren, camminando sulle poltrone del Dorothy Chandler Pavillion. Sempre per rimanere in tema, Sofia di Oscar ne ha vinti due: il primo, nel ’61, per La ciociara e il secondo trent’anni dopo per l’insieme della carriera. Ma la prima attrice italiana insignita del massimo premio cinematografico fu Anna Magnani: nel 1956, per la sua interpretazione in La rosa tatuata di Daniel Mann. E quest’anno, l’anno che ha già incoronato Morricone, tutti a fare il tifo per Nuovomondo di Emanuele Crialese, candidato nazionale alla “notte delle stelle”.
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IL Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha inviato ad Ennio Morricone un messaggio in cui gli esprime le più vive congratulazioni per l’Oscar alla carriera: «Con il più prestigioso premio internazionale si manifesta il giusto riconoscimento a composizioni che hanno fatto da colonna sonora a tanti dei più bei film italiani, e non solo italiani, che hanno appassionato il grande pubblico. Dalla proficua collaborazione con grandi registi, come Bertolucci, Leone, Pasolini e Pontecorvo, all’impegno incessante per la diffusione e la crescita della cultura musicale, il suo estro creativo ha accompagnato i mutamenti del Novecento e ancora oggi offre emozioni profonde. L’omaggio della statuetta d’oro rappresenta, così, una ulteriore testimonianza della grande vitalità dell’arte italiana che onora il nostro Paese».
«Soddisfazione» è espressa dal vicepresidente del Consiglio e ministro per i Beni e le Attività Culturali, Francesco Rutelli: «Dopo cinque nomination - dice Rutelli- finalmente uno dei più grandi compositori della musica italiana non solo tradizionale ma anche classica riceverà il primo Oscar alla carriera. Grazie alle sue colonne sonore scene indimenticabili di film-capolavoro, simboli del grande cinema italiano, dal dopoguerra ad oggi, sono rimaste impresse nella memoria collettiva, intrecciandosi anche alla storia del nostro Paese». La notizia dell’Oscar a Morricone «suscita gioia e autentico orgoglio». Così il sindaco Walter Veltroni che aggiunge: «Il premio al compositore romano noto in tutto il mondo per il suo talento e la sua professionalità rappresenta il più alto riconoscimento alla sua personale carriera, cominciata al conservatorio di Santa Cecilia a Roma, e al cinema italiano». Messaggi di auguri arrivano, tra gli altri, dal presidente della Regione Lazio, Marrazzo, dal presidente della Provincia di Roma, Gasbarra e dal sindaco di Firenze, Leonardo Domenici.

NEGLI anni passati, cinque delusioni. Adesso, improvvisa, inaspettata, la gioia. Che ha espresso in maniera incontenibile, intonando il famoso urlo del coyote di Il buono, il brutto, il cattivo, al telefono, raggiunto da Fiorello nel corso di “Viva Radio2”. Ennio Morricone ha finalmente ottenuto l'Oscar, un Oscar alla carriera. Gli sarà consegnato il 25 febbraio a Hollywood nella cerimonia organizzata dall'Accademia delle arti e delle scienze del cinema: lo riceverà, forse, dalle mani di Clint Eastwood o Warren Beatty.
Un riconoscimento giusto e opportuno a un maestro già candidato cinque volte alla celebre statuetta senza vincerla (con I giorni del cielo, Gli intoccabili, Bugsy, The mission e Malena) ed autore delle musiche di due film italiani premiati come miglior film straniero (Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto e Nuovo cinema Paradiso), nonché vincitore di sei David di Donatello e otto nastri d'argento; e Leone d'oro di Venezia alla carriera.
Ma non è solo con l'Oscar che l'America rende omaggio al 78enne musicista romano. Il 2 febbraio presso la sede dell'Assemblea delle Nazioni Unite a New York, Morricone terrà un concerto di benvenuto al nuovo segretario generale Ban Ki-Moon, dirigendo, sul podio della Roma Sinfonietta, la sua composizione Voci dal silenzio, ispirata alla tragedia dell'11 settembre 2001, e alcune delle sue più celebri colonne sonore. Sarà il suo esordio come direttore negli Stati Uniti. Poi, il 3, al Radio City Music Hall, proporrà ancora le sue musiche da film.
Ma i “Morricone days” newyorchesi cominceranno già l'1 febbraio con l'apertura di una retrospettiva della durata di una settimana, organizzata dal Museum of Modern Art di New York, di alcuni dei film più importanti per i quali il maestro ha firmato le musiche, da La battaglia di Algeri a C'era una volta in America. Quasi un prologo a questi festeggiamenti, il maestro terrà domani un grande concerto natalizio, popolare e gratuito, in Piazza Duomo a Milano, che sarà trasmesso in diretta su Radiomontecarlo e registrato su cd per finanziare la ricerca sul cancro.
Per dire il contributo di Morricone allo sviluppo della musica nel cinema basta ricordare che con lui le colonne sonore sono entrate nei templi della musica classica e lirica: l'Accademia di Santa Cecilia e l'Arena di Verona, dove ha diretto la Filarmonica e il Coro della Scala. Pochi altri musicisti hanno saputo coniugare in modo così felice la grande melodia con le soluzioni formali e le invenzioni timbriche più originali. Prendiamo ad esempio i titoli di testa cantati per Uccellacci e uccellini di Pasolini con la voce di Domenico Modugno: la cronaca fatta arte, con ironia. O la melodia fischiata in Per un pugno di dollari. E ancora il clarinetto che, appunto, imita il verso del coyote in Il buono, il brutto, il cattivo.
Anche nel cinema, nelle collaborazioni con un mare di grandi registi come Gillo Pontecorvo, Sergio Leone, Bernardo Bertolucci, Giuseppe Tornatore e tantissimi altri, il maestro non ha dimenticato la sua formazione classica (è stato allievo di Goffredo Petrassi all'Accademia di Santa Cecilia) né di essere stato un pioniere della neoavanguardia (ha un vasto catalogo di composizioni da concerto): Un delitto italiano di Marco Tullio Giordana è un Requiem in miniatura (introdotto dalla voce di Pasolini registrata) che con le sue sonorità terree sembra serbare qualcosa della Sinfonia di Salmi di Stravinsky; in La classe operaia va in Paradiso Morricone si traveste da John Cage facendo musica col rumore di presse industriali e di martelli pneumatici.
Un artista che ha lavorato in tutti i settori della composizione, intendendo la musica non solo come una missione ma anche come un mestiere. Sono sue le sonorità angosciose della Piovra televisiva e di innumerevoli altre fiction, fino alla recente Giovanni Falcone. E negli anni 60 ha scritto numerosi arrangiamenti per i big della musica leggera: sono suoi, ad esempio, quelli di Non son degno di te di Gianni Morandi, con il pianoforte “alla Ciaikovskij”, e di Se telefonando di Mina. Morricone è anche tra i musicisti che fatturano ogni anno i maggiori diritti d'autore, con Vasco Rossi, Ramazzotti e Mogol.
L'Oscar arricchisce ulteriormente la serie delle statuette “italiane”: tra l'altro è il quinto alla carriera dopo Sophia Loren, Federico Fellini, Michelangelo Antonioni e Dino De Laurentiis. Ci voleva, anche se l'Oscar più bello il maestro l'ha ricevuto con l'amore del pubblico per una musica che, quando si distende in melodie luminose e struggenti come quella di C'era una volta il West, diventa poesia.

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Venerdì 15 Dicembre 2006 Il Messaggero
Ci credereste che gli studenti del Mamiani di oggi non sanno chi sia Jean-Luc Godard? E' quello che ha scoperto Americo Sbardella, anima con Armando Leone del mitico cineclub Filmstudio. E allora, per colmare l'ignoranza dei ragazzi del Mamiani e per far felici i cinefili, ecco che il Comune organizza con il Filmstudio una lunga rassegna sull'uomo senza il quale Quentin Tarantino non esisterebbe. Da mercoledì 20 dicembre a martedì 9 gennaio verranno proiettate 22 opere del genio che inventò la Nouvelle Vague al fianco di Truffaut, Rohmer, Chabrol e Rivette. Dal primo cortometraggio industriale su commissione Opération Béton ai film più nascosti degli ultimi anni come Forever Mozart (1996) ed Éloge de l'amour (2001). Programmazione eccentrica che recupera il cinema godardiano più marginale come testimonia il titolo Godard Retrouvé. Accanto alla rassegna del Filmstudio, troviamo con piacere quella altrettanto gagliarda dell'inossidabile Silvano Agosti dell'Azzurro Scipioni, che odia la definizione di “cinema d'essai” ma ama offrire da anni i grandi classici del cinema a prezzi stracciati se non addirittura gratis come la retrospettiva, appoggiata da Comune, Roma. La città sullo schermo, dal 20 dicembre 2006 al 27 marzo 2007. L'idea dell'assessore Borgna e del cineasta esercente Agosti è quella di estendere la rassegna a tutto l'anno prossimo. I film? Da Una giornata particolare a Caro diario, da Ladri di biciclette a La dolce vita. Dulcis in fundo, da segnalare anche la prima edizione del Visioni Fuori Raccordo Film Festival, rassegna dedicata interamente al cinema in periferia. Fino al 17 dicembre si potranno vedere molte opere di giovani cineasti presso lo spazio polivalente “Il Mitreo” nella Biblioteca comunale e nella Sala consiliare del XV Municipio.
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Mimmo Rotella, l’uomo che “strappava” i miti del grande schermo - di Francesco Prisco

Quale mito postmoderno è più grande delle epopee cinematografiche?
Intorno alla metà degli anni Cinquanta se lo chiese Mimmo Rotella, artista calabrese, all’epoca poco più che trentenne, in cerca di linguaggi nuovi nel panorama di un’arte che, a suo giudizio, «aveva già detto tutto». Armato di temperino, cominciò allora a strappare dai muri i manifesti dei divi del cinema, li portava in laboratorio e li ricomponeva con la tecnica del collage appresa dai cubisti. La sua fu una piccola rivoluzione che fece epoca e prese un nome ancora oggi assai evocativo: Décollage. A questa particolare tecnica e al suo ideatore, scomparso esattamente un anno fa, è dedicata la mostra “Il mito strappato”, in programma alla Ex Chiesa Anglicana di Alassio dall’8 dicembre al 7 gennaio. I visitatori potranno confrontarsi con 20 opere originali, realizzate a partire dagli anni Cinquanta e ispirate ai “miti” della cinematografia internazionale. A fare da compendio, documenti e filmati sulla instancabile attività del vulcanico artista nativo di Catanzaro. Innanzitutto c’è Marilyn Monroe, una delle più potenti icone femminili hollywoodiane. Rotella la ritrae ne “Il mistero di Marilyn” e in “Siamo con te”, qualche anno prima che le serigrafie colorate di Andy Warhol facessero il giro del mondo come paradigma perfetto di Pop Art. C’è qualche eroina di casa nostra come la Loren che, nel “Dolore di Sofia”, piange in quanto protagonista della “Ciociara” cinematografica di Vittorio De Sica o che ride sprezzante, dall’alto del suo reggicalze, in “Sofia per noi”, rilettura della locandina de “La pupa e il gangster”. Il genere western è ben rappresentato da “Vento selvaggio” (ispirato al film di Robert Wise “Vento di terre selvagge”) e da “La grande cavalcata”. Non mancano alcuni monumenti della cinematografia internazionale come “Casablanca”, reinterpretato con spirito dissacrante in “Testimoni a Casablanca”, e “Giant”, ultimo leggendario film del simbolo della “Giovantù bruciata” anni Cinquanta James Dean. Anche opere cinematografiche “non proprio eccellenti” trovano spazio nell’immaginario di Rotella: il décollage “Ritratto di una diva” è infatti un omaggio alla Edwige Fenech interprete di “Asso”, opera di Castellano e Pipolo incentrata su uno strampalato Adriano Cementano. Per i più giovani, in ultimo, è imperdibile “Il trio pericoloso”, lavoro in cui la locandina del cult movie dei fratelli Wachowski “Matrix” si incrocia a quella del b-movie inglese “L’erba di Grace”.
Rotella non fa distinzione tra cinema “alto” e “popolare”: tutto ciò che affolla il grande schermo e, quindi, le strade delle città in forma di manifesto è mito. «Il cinema senza Mimmo Rotella – spiega il critico Nicola Davide Angerame, nella presentazione in catalogo – sarebbe come un poema senza cantore. Cosmopolita, stravagante e trasformistico ammiratore della settima arte, il maestro calabrese ha saputo cogliere e raccontare l’indiscreto fascino del cinema e delle sue stelle, del cui carisma egli stesso si è alimentato. Ma Rotella è molto più del decollagista di affiche cinematografiche che “strappa” i volti delle celebrità per consegnarle al mondo senza tempo dell’arte. Egli è una sorta di esegeta della cultura del secondo dopoguerra, segnata dal boom economico e dalla nascita dello star-system hollywoodiano (ed in parte anche romano). Rotella è un vulcanico poeta dell’immagine e della parola, un cultore dei sensi laterali che la realtà concede soltanto a chi è provvisto di una sensibilità ulteriore». Nei suoi décollage c’è, insomma, una delle più immaginifiche analisi degli ultimi sessant’anni di civiltà.
http://www.ilsole24ore.com
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Da Il Messaggero di GLORIA SATTA

ROMA - Se amate alla follia il cinema di Lars Von Trier, e magari vi siete accapigliati con amici e colleghi per difenderlo, ora rischiate di venire ricompensati. Nel vero senso del termine, perché l’istrionico regista danese ha deciso di dare un premio agli spettatori che scopriranno i “lookeys”, cioè gli oggetti sbagliati o fuori contesto disseminati ad arte nel suo nuovo film, Il grande capo. In Danimarca i vincitori hanno avuto un bel po’ di quattrini, l’equivalente di 4.000 euro; in Italia, dove il film uscirà il 5 gennaio con Lucky Red, il trofeo è ancora in via di definizione.
Non è finita. Se siete cinefili duri e puri, devoti all’autore di Le onde del destino, Idioti, Dancer in the Dark e siete cresciuti a pane e Dogma, preparatevi a una sorpresa: compiuti i cinquant’anni, accantonato il proposito di concludere l’assai discussa trilogia ”americana” inaugurata da Dogville e Manderlay, il buon Lars ha deciso di far ridere. Con ferocia, prendendo in giro il potere, ma sempre di commedia si tratta. «Credetemi, in questo film non vale la pena di riflettere... è una commedia e come tale è innocua, niente pedagogia o formazione di coscienze», dice la voce fuori campo del regista all’inizio di Il grande capo. Ovviamente mentendo, perché c’è già chi ha paragonato Von Trier a Gogol e Woody Allen.
E visto che l’uomo è nato per stupire, c’è un’altra novità. Spedito in soffitta il proverbiale metodo “Dogma” (cinepresa a mano, nessun artificio registico), il Nostro se n’è inventata un’altra: il sistema Automavision, secondo il quale il cameraman è sostituito da un computer che, una volta impostata dal regista la prima inquadratura, sceglie tutte le altre a caso. «Sono sempre stato un fanatico del controllo, ma l’Automavision è una forma di ripresa più leggera, adatta alla commedia», ha spiegato Lars, profetizzando diabolico la schiera di discepoli pronti ad imitarlo, come già avvenne con Dogma.
E poco importa se il computer a volte taglia una testa, dimezza un’immagine, fornisce una prospettiva “anomala”: il pubblico, che in Danimarca ha fatto di Il grande capo un grande successo (il film ha preferito a Cannes il piccolo festival di Copenaghen) dimentica presto la nuova stravaganza, tutto preso a seguire la storia e le battute, corrosive e dissacranti («Ibsen era un idiota assoluto»), le autocitazioni («Dogma è difficile da ascoltare, ma non è detto che non sia interessante»), le provocazioni («meglio invertito che stecchito»).
Siamo in un ufficio, precisamente in un’azienda informatica. Il proprietario (l’attore Peter Gantzler), che ha inventato un finto “grande capo” immaginario dietro il quale nascondere le decisioni più impopolari, vuole vendere e licenziare i dipendenti. Così assolda un attore disoccupato (Jens Albinus) che interpreterà il ruolo del super boss. Fra trattative con gli agguerriti compratori islandesi (che nella realtà si stanno accaparrando mezza Danimarca, rivincita dei 400 anni passati sotto la Corona), equivoci tra il finto capo e le “risorse umane” dell’azienda, un’ex moglie avvocato che ha scoperto il gioco, non tutto andrà secondo le previsioni...
Arrivato ai cinquanta, Lars Von Trier ha deciso di darsi “una rinnovata”. Abituato a dettare regole, teorizzare le scelte, ammannire comandamenti, il regista ha ora partorito la “Dichiarazione di Rivitalizzazione”: l’intenzione di riprogrammare le proprie attività, al fine di ritrovare l’entusiasmo per il cinema. «Il segreto di una commedia di successo è fare qualcosa che tu stesso trovi divertente», ha spiegato. E alla fine di Il grande capo, c’è sempre la sua voce fuori campo: «Vorrei scusarmi sia con quelli che volevano di più che con quelli che volevano di meno. Quelli che hanno avuto ciò per cui sono venuti, se lo sono meritato...». Dal 5 gennaio, è aperta la caccia al premio.
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OSCAR ALLA CARRIERA PER ENNIO MORRICONE…
(Agi/Reuters/Afp) - Il 25 febbraio prossimo, quando a Hollywood si terra' l'annuale cerimonia di consegna dei premi Oscar, il cinema italiano sapra' gia' di averne conquistato almeno uno: quello alla carriera che il direttivo della Academy of Motion Picture Arts and Sciences ha deciso di conferire a Ennio Morricone, il grande compositore che ha puo' vantare la sua firma in calce a oltre trecento colonne sonore in 45 anni di carriera, culminata nello stretto rapporto artistico e professionale con lo scomparso Sergio Leone, ma con all'attivo altri capolavori che spaziano tra i generi piu' diversi ed eclettici: da 'Mission' al 'Vizietto' a 'Nuovo Cinema Paradiso', solo per citare qualche esempio. In ben cinque occasioni il 78enne musicista italiano aveva ricevuto la nomination, ma altrettante volte il premio era poi andato invece ad altri. Ora la Academy ha deciso di rimediare, premiando i "magnifici e multi-sfaccettati contributi all'arte della musica da film" donati da Morricone al grande schermo. "Il nostro non e' semplicemente un riconoscimento del considerevole numero di colonne sonore prodotte dal signor Morricone", ha commentato il presidente della stessa Academy, Sid Ganis, "ma del fatto che molte tra esse sono capolavori popolari, e adorati dal pubblico".

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