RASSEGNA STAMPA sui CORTOMETRAGGI e sulla Cultura cinematografica di ogni tipo...


CONTRORDINE COMPAGNI. VENTI GIORNI DOPO IL GRAN RIFIUTO, NANNI MORETTI AVREBBE DECISO DI RIPENSARCI: FARÀ IL DIRETTORE DEL TORINO FILM FESTIVAL - CHIAMPARINO AVREBBE FAVORITO LA BUONA NOVELLA CONVINCENDO GIANNI RONDOLINO A FARE UN PASSETTO INDIETRO…
Contrordine compagni. Venti giorni dopo il gran rifiuto, accompagnato come sempre da paginate intere e indignazioni varie, col “manifesto” schierato compatto contro l’ operazione e Rutelli costretto ad applaudirla, Nanni Moretti avrebbe deciso di ripensarci: farà il direttore del Torino Film Festival. Lui che aveva sbattuto la porta a quarantotto ore dalla nomina, con un comunicato di fuoco dato alle agenzie alle 20 del 29 dicembre, facendo fece saltare la pazienza a molti, si sarebbe convinto a riprovarci.
Ricordate? “No, non ci siamo capiti. Forse mi avete confuso con qualcun altro. Io avrei messo con entusiasmo la mia faccia e il mio lavoro per sostenere un festival che seguo con piacere da tanti anni. Avrei voluto fare un festival condiviso da tutti coloro che amano il cinema, purtroppo però questa vicenda nasce male, c’è come un’ombra che non mi farebbe lavorare con gioia ed entusiasmo. E quindi con molto dolore, rinuncio all’ incarico e vi lascio ai vostri problemi di metodo, ai contrasti procedurali, ai rancori personali”.
Il lento lavorio di ricucita messo in atto da Chiamparino avrebbe favorito la buona novella. In cambio, il regista, già ribattezzato “Sor Tentenna”, avrebbe chiesto una sola garanzia: avere dalla sua parte l’unanimità assoluta, insomma niente polemiche locali, rancori personali e minacce di festival alternativi. Inoltre avrebbe preteso di potersi confrontare unicamente con il direttore (non più dimissionario) del Museo del cinema, Alberto Barbera, al quale il sindaco Chiamparino ha affidato il compito di delineare la venticinquesima edizione.
C’è un solo scoglio: la riunione, in corso questa mattina dalle 11 in poi, dell’ associazione Cinema Giovani, presieduta dal professor Gianni Rondolino, padre di Fabrizio, gran nemico fino all’altro ieri dell’ipotesi Moretti (e fiero avversario dei modi ritenuti “partitocratici” con i quali si arrivò a quella nomina). E’ probabile che Rondolino, dopo l’incontro di martedì pomeriggio con il sindaco Chiamparino, abbia deciso, obtorto collo, di fare un passetto indietro.
Insomma, l’associazione che gestisce il festival, tramite i suoi 17 membri (tra i quali Vattimo, Ventavoli, Zanetti, Casazza, Barbera, lo stesso Steve Della Casa considerato “l’arcinemico” di Rondolino), darebbe via libera al Moretti-bis. E a quel punto, salvo sorprese dell’ultim’ora o nuovi furori all’interno del cinefilo consesso, per il regista del “Caimano” sarebbe finalmente fumata bianca.
Dagospia 18 Gennaio 2007

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Giovedì 18 Gennaio 2007
di GIOVANNI MINOLI
VELTRONI, lei ha detto che Bobby è un film “emozionante e fantastico”. Perché?
«Non è un film su Bobby Kennedy, ma un film sull’America ai tempi di Bobby Kennedy. E’ ambientato all’Hotel Ambassador di Los Angeles nel giorno in cui è stato ucciso ed è una storia, come quelle che racconta Altman, di vari personaggi che si muovono in
questa giornata. Giustamente non c’è un attore che fa Bobby Kennedy ma c’è lui come colonna sonora dei sogni, delle aspirazioni e dell’energia di una generazione americana. Per me è emozionante e fantastico perché richiama veramente le speranze migliori: ci sono momenti, il finale del film o un momento in cui la musica di Simon e Garfunkel, The sound of silence, entra sulle immagini della cronaca di quegli anni, che sono veramente molto emozionanti».
Molti critici in America però hanno stroncato il film. Si sbagliano?
«Non so dire le ragioni. So che ancora oggi i Kennedy e le loro idee sono per gli Stati Uniti un problema non risolto: se quella sera qualcuno avesse detto a Bob Kennedy di uscire da quel posto dove lui stava facendo il suo discorso dopo aver vinto le primarie
in California, da una parte invece che dall’altra il destino della storia credo che sarebbe cambiato e credo che gli americani facciano fatica ad accettare l’amara verità: che in quei fantastici anni persone con idee diverse, John Kennedy, Martin Luther King,
Malcom X, Robert Kennedy, proprio in ragione delle loro idee venivano uccise».(...)
Cinema e politica si fondono perfettamente in questo film. E’ cosi per lei?
«Sono ambiti diversi, cinema e politica meno si fondono esplicitamente e meglio è. Ogni film ha dentro di sé una forza evocativa di valori, di sentimenti, ansie, speranze e in questo film ce ne sono molte».(...)
Ma dove la storia di Bob Kennedy è una storia ancora attuale?
«Io penso che il pensiero politico kennedyano sia ancora il più attuale. Quello che oggi ci può consentire di dare delle risposte alle grandi sfide del nostro tempo. In fondo loro erano molti decenni avanti la loro società, sono stati una generazione di nuovi americani che aveva idee, valori, culture, linguaggi del tutto diverse dalle generazioni precedenti (...)».
E personalmente cosa le piace di più di Bob come uomo?
«Il grande coraggio personale. Era uno a cui piaceva scendere per la rapide, era anche molto spericolato da questo punto di vista, ma soprattutto il coraggio politico e personale. La sera in cui uccidono Martin Luther King lui è l’unico bianco che va in un quartiere nero e fa un discorso tanto bello da essere ancora oggi ricordato».(...)
Ma l’America riuscirà ancora a far sognare dopo il dolore di questi anni?
«La bellezza di quel paese, che ha tante contraddizioni, è quello di essersi sempre saputo guardare dentro criticamente, faceva la guerra nel Vietnam ma intanto la distruggeva dal punto di vista dei film, dell’informazione giornalistica; non ha mai conosciuto la dittatura, ma solo la democrazia; però è un paese che ha grandi contraddizioni, ne cito solamente due: la pena di morte, per me inaccettabile e insopportabile e, anche, il grado di spietatezza del suo sistema sociale. Il film di Gabriele Muccino con Will Smith racconta perfettamente tutto questo: come nel sistema americano si può precipitare a valle fino alla disperazione di diventare un homeless, ma come anche sia una società che da opportunità, speranze, chances (...)».
E questo film ci aiuta a sperare in quest’America?
«Sì, aiuta a pensare che c’è un America possibile, ma in fondo non solo un’America possibile: ci sono idee, valori, un mondo possibile».
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AMERICAN IDOL TORNA E VOLA NEGLI ASCOLTI…
Ritorno col botto per la sesta edizione di “American Idol”, il reality di maggior successo negli USA. Per chi non lo sapesse si tratta di una gara canora tra “dilettanti”, che finora (al contrario delle versioni nostrane) ha avuto il merito di scoprire talenti di notevole valore, non ultima Jennifer Hudson (che non aveva neanche vinto), sulla cresta dell’onda per la sua straordinaria interpretazione in “Dreamgirls” che le è valsa un Golden Globe lunedì sera. La prima puntata di “Idol”, su Fox, ha conquistato 37,3 milioni di spettatori, quasi due milioni in più della scorsa edizione, con uno share intorno al 30%. Si tratta di gran lunga del programma di maggiore successo della tv americana.
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E pensare che Grande Fratello ha una fama talmente estesa che nel mondo se ne contano più di cento edizioni. Che esplosione da quel lontano settembre del 2000 di “tariconica memoria”! E se in Inghilterra si alzano dalla casa fuoco e fiamme, in Italia da stasera
i 14 nuovi non vip (uno è di Roma e ha un bar in zona Eur, gli altri divisi fra regioni italiane e stati europei: Spagna, Slovenia, Russia) entreranno per la settima stagione nel bunker di Cinecittà per fare i loro 92 giorni di reclusione spiati dalle telecamere di Canale 5. Il fatto che non appartengano al “vippaio” non vuol dire che non abbiano dimestichezza con il video.
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Il Messaggero - Mercoledì 10 Gennaio 2007
In barba al politically correct, molti li pensano e li chiamano diversi. Disabili, down, barboni, emarginati, fantasmi della nostra civilissima Roma che normalmente corre troppo per accorgersi anche di loro. Eppure sono stati proprio loro gli eroi di questi giorni dopo le Feste, quando ancora stanno
brillando le lucine di Natale e forse ci si sente ancora buoni. Sicuramente pronti a riconoscere il gesto altruista e a esaltarlo. Il barbone Giuseppe che dignitosamente, senza fare troppe storie, riconsegna un portafoglio rubato e buttato, trovato per terra. O Gianluigi, diversamente abile, che grida
“al ladro” e viene pure menato oltre che insultato. Tutte e due sono diventati personaggi, appaluditi e onorati. Dei simboli, di una Roma che ci piace. Guarda caso, proprio loro, i diversi, ci ricordano che è normale, o meglio sarebbe normale, riportare un portafogli al legittimo proprietario, normale gridare “al ladro” impicciandosi dei fatti degli altri. Guarda caso, sono loro i cittadini di una Roma normale.
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2 - CENSURA, PROVE TECNICHE DI CAMBIAMENTO..
Michele Anselmi da “Il Giornale”
Alla Eagle, che distribuisce “Apocalypto”, gongolano. Tutta promozione insperata, pure gratis. Se ne deve essere accorto anche Rutelli, il quale adesso auspica: “È bene che giudichi il pubblico. Abbiamo fatto sin troppa pubblicità al film”. Naturalmente, il ministro, con piglio decisionista, annuncia cambiamenti in materia di censura - anzi revisione - cinematografica. “Ho convocato per lunedì una riunione per rivedere le norme sulle autorizzazioni dei film, che sono vecchie di 45 anni. Oggi le scene di violenza arrivano anche dalla tv, dai videogiochi, dai cartoni animati. Occorrono regole nuove”. Fino a maggio però, sempre che Rutelli non vari d’urgenza un decreto legge, restano operative le commissioni nominate dal precedente governo. Otto, composte da nove membri ciascuna, il che significa settantadue persone, tra “esperti di cultura cinematografica”, “docenti di psicologia”, “rappresentanti di categoria, dei genitori e degli animalisti”. A scorrere i nomi, non mancano le sorprese: nella quinta, ad esempio, in qualità di cine-esperto, resiste il deputato udc Francesco Pionati, nella terza l’attrice Clarissa Burt, nella seconda Solvi Stubing, che fu mitica testimonial di una birra. In questo tipo di commissioni, si sa, le persone vanno e vengono, in base allo spoyl-system. Il problema è: per fare cosa? Rutelli forse non sa, ma in materia di “tutela dei minori” il suo predecessore Urbani provò a fare qualcosa, fuori dalla contingenza legata a un film troppo audace o violento, senza atteggiamenti moralistici. Peccato che poi tutto si fermò, magari per il timore di evocare nuove strette censorie, seppure sotto forma di legittimi interventi in difesa dei minori. Vero è che il progetto di riforma Urbani al quale si dedicò il tecnico Mario Torsello prevedeva l’attivazione del danno morale, con conseguente rimborso civile. Insomma, l’esercente come terminale della catena: a lui spetterebbe il compito di difendere il “rating” (la classificazione dei film), e se non lo fa, paga. Naturalmente bisogna decidere: una volta abolito l’ anacronistico “visto di censura”, senza il quale oggi un film non può uscire, chi deciderà se una pellicola può essere per tutti o no? Le attuali commissioni di revisione non sembrano funzionare, divise come sono tra il ruolo soverchiante assunto dalle associazioni dei genitori, pronte a esercitare su alcuni temi caldi il diritto di veto, e gli evidenti interessi dei produttori, pronti a (quasi) tutto pur di evitare il divieto ai minori di 14 anni che li penalizza sul fronte della vendita televisiva. Prendendo a modello il sistema americano con i suoi cinque livelli, l’ex ministro lavorò a varie ipotesi di classificazione: un primo sbarramento a 8 anni e un secondo a 12, con o senza la presenza dei genitori, abolizione del divieto ai minori di 18 anni con abbassamento a 16. Rutelli si muoverà su queste linee? Difficile dirlo. Di sicuro ci sarà da ritoccare i compensi dei “revisori” (lo psichiatra Paolo Crepet, anni fa, fu campione di assenteismo) ed evitare che questa o quella commissione sia percepita come più duttile o disponibile. Certo, l’Italia resta uno dei paesi più permissivi del mondo. Tanto che lo stesso Marco Giusti, teorico dello stracult e fantasioso esegeta del cinema di serie B, riconosce: “Parlo da padre. Dagli 8 ai 12 anni serve molta attenzione. I nostri figli sono fragili, delicati”.
Dagospia 08 Gennaio 2007
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Mariano Sabatini per “Affari Italiani” - Sul set dei “Viceré” tutti piacevolmente sorpresi dal mitico (mitologico?) Lando Buzzanza, tipico maschio italico, sempre cortese. Con tutti, dal regista alle segretarie di edizione. Al contrario, Alessandro Preziosi ha brillato per assenza. Nel senso che, come si addice
al divo (riv)ombroso, se n’è stato sempre rintanato in roulotte durante le pause delle riprese. Sul set del film, in duplice versione per la tv e per le sale cinematografiche, quando è arrivata Lucia Bosè, un autorevole componente della troupe è sbottato: e chi è quella!?

(Adnkronos) - TV 2006: crolla il trash. Il pubblico preferisce l'informazione e l'intrattenimento intelligente ai reality show. L'anno appena trascorso e' stato piuttosto l'anno del consumatore reattivo, ricettivo delle nuove tendenze, sensibile alle oscillazioni dei gusti e delle tendenze. Un pubblico che diventa giudice della qualita' dei prodotti. E cosi', nonostante sia stato l'anno dei Mondiali di calcio vinti in Germania, non e' stato altrettanto matematico che le trasmissioni tv ne abbiano beneficiato.Anche le fiction, per la prima volta, registrano una situazione di assestamento. Bene invece l'informazione, soprattutto il Tg1, rinforzato dall'arrivo di Gianni Riotta, e l'intrattenimento.

Tre servizi dal Tg2 delle 13 di oggi 8 gennaio: il primo parlava di una foca monaca soccorsa in Turchia il secondo di un caffè da 8,5 euro prodotto in Minnesota il terzo di un concorso per imitatori giapponesi di Elvis Presley Ci rendiamo conto a che livello è oggi l'informazione in Italia? I telegiornali sono
fatti con servizi raccogliticci su Internet, costa meno prendere un servizio lì che mandare un inviato con tanto di cameraman e collaboratori a Rieti, Montepulciano o Bitonto. Giorni fa veniva proposto sempre al medesimo Tg un servizio su un camion che si era schiantato su delle abitazioni in Nuova Zelanda (!!!!), conseguenze nessuna. Stesso episodio era accaduto in quegli stessi giorni a Staggia Senese in provincia di Siena con l'autista gravemente ferito ma niente di niente nè servizi video nè vocali. Si annunciano tempi duri per l'informazione.

AGOSTI DA AGOSTI
Al cinema di Silvano Agosti non si vedono solo capolavori di Luis Buñuel e Orson Welles ma anche i bellissimi film dello stesso regista bresciano, montatore de "I pugni in tasca" di Marco Bellocchio e autore di una dozzina di regie tra cinema e televisione. Stasera in sala Lumiere è in programma "D'amore si vive" (1984), delicato documentario di soli primi piani in cui Agosti intervista una mamma, un bambino, un transessuale, una prostituta e un travestito affrontando i temi di amore, tenerezza e sensualità nella società moderna. Oltre nove ore di chiacchierate nella città di Parma diventano uno spaccato affascinante di meno di due ore sui vari aspetti dell'amore.

MIKE LEIGH ALLA CASA DEL CINEMA Non inizia mai un film con un copione. La sceneggiatura prende forma durante impegnative sessioni di improvvisazione con il cast e la troupe. Questo è il cinema dell'inglese Mike Leigh che con notevole autoironia tipicamente anglosassone afferma: "Il
fatto che i produttori mi permettano ogni volta di lavorare senza una sceneggiatura... non finisce mai di meravigliarmi". Realizzò con questa pericolosa tecnica anche "Segreti e bugie", la sua pellicola più bella vincitrice della Palma d'Oro a Cannes. E' la storia dell'incontro dopo trent'anni tra una
ragazza di colore e la madre naturale. Brenda Blethyn, la madre operaia dalla vita triste e sconclusionata che incontra la figlia che non ha mai conosciuto, non è mai stata così brava. "Segreti e bugie" di M. Leigh, ore 15.30. Casa del cinema (Villa Borghese).
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Il Messaggero Domenica 07 Gennaio 2007 di GLORIA SATTA

ROMA - Innanzitutto una curiosità: il nuovo film di Pupi Avati, La cena per farli conoscere, reca nel titolo una didascalia tra parentesi, “commedia sentimentale”. Perché? «Spero di aver rispettato il tono brillante, sarcastico della commedia mescolandolo al disagio che avverto sempre più condiviso»,
risponde il regista. Poi una sorpresa: Avati, maestro della rievocazione autobiografica a cavallo tra nostalgia e amarezza, ora punta sul presente. «L’avevo già fatto in Ultimo minuto, Impiegati, Festival, Ma quando arrivano le ragazze. Negli ultimi tempi però ho avvertito l’esigenza sempre più prepotente di fare
i conti con l’oggi e le sue contraddizioni, con quei difetti della società e dei comportamenti che accomunano tutto l’ Occidente». Nel film si ride, tanto: «Ho scelto la via che mi avvicinasse di più alla commedia di costume all’italiana, quella di alto profilo». Sorride: «E’ sempre faticoso, per un regista, avvicinare il prodotto all’idea che ha in testa. Questa volta, posso dirlo con certezza, il film è venuto proprio come volevo farlo».
Protagonista di La cena per farli conoscere è un attore di soap in declino (Diego Abatantuono), narcisista, egocentrico, immaturo fino al parossismo. Il giorno in cui una plastica facciale ringiovanente lo lascia quasi sfigurato, tenta il suicidio convocando i paparazzi. Al suo capezzale si raccolgono le tre figlie (Inès Sastre, Vanessa Incontrada, Violante Placido) che l’uomo ha avuto da altrettante donne e che vivono sparpagliate per l’Europa. Le ragazze, di cui il padre non si è mai occupato e quasi non si conoscono tra loro, si alleano così per sbarazzarsi di quel genitore per modo di dire, buono solo a combinare guai. E mentre lui è pronto, pur di tornare sotto i riflettori, a partecipare al reality Fogne ambientato tra discariche e liquami, le figlie decidono di presentargli la donna «forte, intellettuale e indipendente» che secondo loro saprà farsi carico dei suoi fallimenti: la pseudoscrittrice Francesca Neri (in un’interpretazione destinata a sorprendere), un personaggio ancora più improbabile e scombinato di lui...
Il film, prodotto da Antonio Avati e Medusa, sarà nelle sale il 2 febbraio. Intanto, lasciamo parlare Pupi Avati. Un attore in declino, la tv trash, l’ansia da visibilità: è la società dello spettacolo il suo bersaglio?

«In La cena per farli conoscere c’è tutto questo, ma è solo un rumore di fondo. Non intendevo far la satira dello show- business, proprio no. Ho raccontato invece una storia umana, ho messo a fuoco sentimenti forti e positivi anche se vengono espressi da personaggi non del tutto apprezzabili. Tema del film sono le tendenze e i comportamenti negativi che caratterizzano il presente». Quali?

«La deresponsabilizzazione nei confronti dei ruoli; l’erosione della figura paterna che non esiste quasi più. La predominanza dei figli unici ha fatto ormai scomparire quei rapporti “orizzontali” (fratelli, sorelle, zii, cugini) che rendevano corale il rapporto familiare. Creavano forse più problemi, ma offrivano tanta rassicurazione». E nel film che succede?

«Le tre le sorelle hanno imbastito situazioni sentimentali all’ insegna del compromesso. A tutte manca non solo l’affetto ma anche la nozione elementare della famiglia, della quale avvertono però l’imprenscindibilità. Alla fine, una famiglia si forma al di là dei tempi supplementari».
I personaggi citano Risi, Monicelli, Germi, Corbucci...

«E’ il mio omaggio ai maestri della commedia. E avrei potuto allargare la lista. La dedica a Corbucci esprime poi un mea culpa, un ravvedimento forse tardivo. Provo nostalgia crescente per un’idea meno razzista del cinema di quella che, nel ’68, ha combattuto con virulenza i film di genere. E’ stato un errore imperdonabile: il cinema d’autore ha svuotato le sale e generato diffidenza nel pubblico». Perché non è andato a Venezia né alla Festa di Roma?

«Il film non era pronto per nessuno dei due festival. Comunque sarei stato trattenuto dall’affollamento eccessivo. Che alla fine, in termini d’incasso, non ha giovato a nessuno». Ha visto i “cinepanettoni”? «No, nemmeno uno. Sono troppo impegnato a lavorare per andare al cinema. E preferisco evitare i condizionamenti: non essere cinefilo mi aiuta a mantenere la mia identità di autore, mi lascia le mani più libere. Niente di quello che finisce nei miei
film è inventato ma nasce totalmente da esperienze, incontri, sensazioni personali. La deformazione professionale mi porta ormai a vedere qualunque situazione in funzione del set: mia moglie mi parla e io penso istintivamente a dove metterei la cinepresa...Uno così dissociato può forse andare a vedere i film degli altri?».
E come vede il cinema italiano? «La situazione peggiora di anno in anno. La prova della gravità della crisi è il disinteresse totale della politica. Anche per
quei film dai contenuti che potrebbero riguardarla! Il cinema si è ristretto a una nicchia di eroici spettatori. E nel futuro sarà sempre più un fenomeno elitario, come la musica da camera, si faranno sempre meno film. Mi dispiace, non riesco a essere ottimista».
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TRE CHICCHE AL POLITECNICO
Due fantastici documentari e un più che pregevole film di finzione che gioca con il genere del "mockumentary" (falso documentario), sempre più in voga anche in Italia. Trittico da non perdere al Politecnico Fandango: "The Grizzly Man" di Werner Herzog, resoconto tra l'agghiacciante e l'avventuroso della vita dell'amico degli orsi Timothy Treadwell (divorato con la fidanzata proprio da un grizzly), "L'orchestra di Piazza Vittorio", sogno realizzato da Agostino Ferrente e Mario Tronco di creare un'orchestra multietnica che presto diventa l'immagine del mondo che vorremmo nel futuro, e "Fascisti su Marte", gioco
di Corrado Guzzanti abile nel parodiare il linguaggio dei cinegiornali Luce del ventennio fascista per ipotizzare un'improbabile conquista del pianeta rosso da parte dei camerati. Il primo è disturbante, il secondo edificante, il terzo esilarante. "The Grizzly Man" di W. Herzog, ore 18.30; "L'orchestra di Piazza Vittorio" di A. Ferrente, ore 20.30; "Fascisti su Marte" di C. Guzzanti, ore 22.30

TRE WESTERN AL GRAUCO "Il western è un genere così preciso da rendere il regista molto libero". Parole di Jean Renoir che di western non ne diresse nemmeno uno. Eppure il cineasta francese aveva ragione visto che un genere pur così codificato (la frontiera, il duello, i paesaggi sconfinati, gli indiani, le diligenze, i saloon, il cowboy a cavallo) è stato spesso reinterpretato con successo come dimostrano "The Ballad of Cable Hogue" di Sam Peckinpah, crepuscolare affresco storico sul drammatico avvento della modernità nella frontiera, "The Three Burials of Melquiades Estrada" di Tommy Lee Jones, la rivendicazione di un antico codice d'onore da parte di un vecchio cowboy, e "Brokeback Mountain" di Ang Lee, intenso melodramma gay. "The Ballad of Cable Hogue" di S. Peckinpah, ore 17.30; "The Three Burials of Melquiades Estrada" di T. L. Jones, ore 19.15; "Brokeback Mountain" di A. Lee, ore 21.15. Cineclub Grauco. Versioni originali con sottotitoli italiani.

Miss Italia 2006, Claudia Andreatta, ha presentato il suo calendario per il 2007 dal titolo "Sogno di essere una stella". Idea simpatica, lo ammetto. La ragazza si presta a 12 scatti che ripercorrono momenti del cinema, dalla Loren di “Matrimonio all’italiana” alla Lollobrigida de “La donna più bella del
mondo”, e ancora Antonelli di “Malizia” e la Cardinale de “Il Gattopardo”, la Mangano di “Riso amaro” e Monica Vitti di “La ragazza con la pistola”.
Le foto di Gianmarco Chieregato risaltano tutta la bellezza di Claudia anche se, ammettiamolo, certe attrici non possono essere superate, nemmeno in foto!

MARIO MONICELLI è uno dei pochissimi nostri grandissimi rappresentanti del grande cinema che ha superato gli 80 anni insieme a MICHELANGELO ANTONIONI (94), DINO RISI, ARNOLDO FOA', LUCIANO EMMER, Dino De Laurentiis, FRANCA VALERI,ALIDA VALLI, CARLO LIZZANI, DAMIANO DAMIANI,FRANCO ZEFFIRELLI, RAIMONDO VIANELLO, SILVANA PAMPANINI, LINA WERTMULLER, DARIO FO....PER NON CONTARE CHI E' QUASI LORO COTANEO COME LUIGI MAGNI, GIULIANO MONTALDO, SANDRA MONDAINI, MONICA VITTI, ETTORE SCOLA, ERMANNO OLMI, LUCIA BOSE', PAOLO VILLAGGIO, SOFIA LOREN.....

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CINEMA, CHI HA I CORDONI DELLA BORSA…
Giro di valzer, con alcune inedite new entry, tra le commissioni chiamate a distribuire i vari capitoli del finanziamento pubblico al cinema. Il vicepremier e ministro per i Beni e le attività culturali Francesco Rutelli (con il confermato direttore generale per il cinema, Gaetano Blandini), questa volta ha arruolato anche il cantautore (e regista) Paolo Pietrangeli, che gestirà con Valerio Toniolo e Osvaldo de Santis i fondi per festival, premi, rassegne, pubblicazioni.

Natalia Aspesi, grande firma della Repubblica, dovrà decidere (con Marco Rossetti) quali saranno i film in grado di accedere ai benefici economici previsti dalla legge, attribuendo anche il bollino d’essai alle pellicole che ne avranno i requisiti. A finanziare le opere prime con Anselma Dell’Olio (confermata
dalla precedente gestione) arrivano Ludina Barzini e il regista Mimmo Calopresti. Lo storico del cinema Giampiero Brunetta, con Enrico Magrelli e Rosita Marchese, deciderà come finanziare i film di «interesse culturale nazionale». Le decisioni sui premi di qualità, infine, sono state affidate a Giuseppe Bertolucci, fratello di Bernardo, regista e presidente della Cineteca di Bologna, al direttore della Scuola nazionale di cinema, Caterina D’Amico, al critico e docente (alla New York University) Antonio Monda e a Maurizio Scaparro, direttore della Biennale teatro.
Tutte le commissioni, per essere operative, devono attendere un ultimo adempimento burocratico: il parere della conferenza Stato-regioni, che deve individuare i suoi rappresentanti all’ interno dei nuovi organismi. (L.D.C.)
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www.repubblica.it
Se l'auditel delle biblioteche elimina Joyce dagli scaffali
di WALTER VELTRONI
Caro direttore, l'autrice dell'articolo apparso sul Washington Post e su la Repubblica lo ha giustamente ricordato: non è un fatto nuovo che le biblioteche si ritrovino a sfoltire i loro scaffali di libri vecchi o poco apprezzati per far posto a nuovi titoli. C'è però qualcosa di diverso, e io credo di inquietante,
nel sistema che è stato messo a punto dalla rete delle biblioteche della contea americana di Fairfax: un computer centrale registra ogni libro che nessuno ha preso in prestito nei due anni precedenti e lo inserisce in una lista di testi suscettibili di essere eliminati. Certo, a decidere saranno poi i singoli bibliotecari, ma a parte il fatto che queste operazioni di "taglio" da episodiche diventano su grande scala, a colpire, e a far riflettere, è il fatto che autori come Hemingway o la Dickinson, come Joyce o come Orwell, come Dante e Petrarca, possano semplicemente apparirvi, in quella lista.
Eppure accade, e accadrà, se a contare è solo la quantità, solo il numero delle volte che quel libro viene richiesto, e non il suo valore, non la sua bellezza, non la cultura che contiene, non le emozioni che trasmette. Sembra proprio rappresentare, questa notizia, un ulteriore segno dei nostri tempi, di ciò che troppo spesso è diventata la nostra vita. Tutto va consumato velocemente, tutto deve procedere a un ritmo accelerato, e a contare, ogni giorno, è l'organizzazione, l'efficienza, la visibilità, il calcolo del rapporto tra costi e benefici, l'appetibilità dei prodotti. Anche se quei costi e quei benefici vengono valutati pensando a una biblioteca. Anche se quei prodotti sono libri, per i quali tutto si può fare, tranne lasciare - anche qui, come in troppi altri campi della
nostra vita - che a decidere della loro qualità, della loro ricchezza culturale, del loro restare nel tempo e diventare memoria, siano solo le vendite, meccanismi simili all'auditel, indagini di mercato.
La funzione di una biblioteca, e il valore di un libro, non sono dati da questo. Quando Borges scrive della sua utopica "Biblioteca di Babele", la vede "illuminata, solitaria, infinita, perfettamente immobile e armata di volumi preziosi", e la pensa aperta a ogni "eterno viaggiatore" che vuole entrarvi,
pronta a soddisfare il desiderio di ricerca di ogni lettore. Anche il meno colto, anche la persona che non sa in realtà cosa sta cercando, ma che in quel luogo, passando da un anello all'altro di quell'unica catena che tiene insieme tutti i libri, ha la possibilità di aggiungere qualcosa al suo sapere, ai suoi
sentimenti, alla sua vita. È vero, ci sono motivi di spazio, di fondi, e altro ancora, che impongono concretezza. Ma quell'utopia, quello spirito di universalità di cui parla Borges, ogni biblioteca, di qualunque contea e di qualunque città o piccolo paese, deve conservarlo gelosamente, custodirlo come un bene prezioso. Il lettore, il "viaggiatore" che vi entra, deve poter cercare il suo percorso, che può essere fatto di best-sellers di oggi, certo, ma non senza che ci sia la possibilità di scegliere grandi capolavori e piccole gemme di ieri. Pensiamo in particolare alle nuove generazioni, ai giovani: sono già troppo circondati da voci che dicono loro che conta solo chi vince o ciò che esiste in quel dato momento, per ricevere lo stesso messaggio da una biblioteca o da una libreria. I libri possono, invece, essere simbolo dell'esatto opposto, di un tempo in cui si possa smettere di pensare solo ad essere "più veloci, più alti e più forti", e scegliere, come è stato scritto, di procedere "più lentamente, più in profondità, con più dolcezza".

Forse, se vogliamo sperare che la letteratura, la storia, l'arte, la politica, la poesia e tutto ciò che rende unica ogni singola pagina di ogni singolo libro non finirà per essere schiavo del nostro tempo veloce, per essere ridotto a merce, dobbiamo continuare a credere che il cuore e l'animo dell'uomo siano più forti di un software predisposto al controllo, alla razionalizzazione, alla ricerca dei massimi risultati gestionali. Dobbiamo continuare a credere che quel bibliotecario chiamato a valutare la lista dei libri poco richiesti avrà le conoscenze, la saggezza e l'amore necessari a guidarlo. Quell'amore che aveva il piccolo uomo, raccontato da Bohumil Hrabal, che a Praga lavora da più di trent'anni pressando carta vecchia, da macero, trasformandola in grandi parallelepipedi, nei quali imprigiona, con cura, pagine e frasi di Kant e del Talmud, di Lao-tze e di Hoelderlin. Con il suo lavorare continuo, appassionato, ha tempo per riflettere, per capire, per diventare colto senza nemmeno accorgersene, e per resistere, finché riesce, ai nuovi macchinari che considerano quelle pagine come semplice carta straccia. Quando trova un bel libro lo salva dal macero lo porta nella sua piccola casa, che ormai ne è stracolma. Lo fa per salvare l'arte, la cultura, la memoria. Lo fa, pensa tra sé lungo la via del ritorno, "perché in borsa porto libri dai quali mi aspetto che a sera, da loro, apprenderò da me stesso qualche cosa che ancora non so".
(4 gennaio 2007)
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1 - Perchè i programmi di qualità sono trasmessi a ore impossibili? Come mai un protagonista della tv leggera se n’è andato e propone di “spegnere l’apparecchio un minuto al giorno per protesta”? Si dice che il trash, i reality show, e gli insulti utilizzati per alzare gli indici dell’Auditel stiano ammazzando la televisione normale. Giusta preoccupazione o eccesso di politically correct? Di questo si parlerà oggi alle 18,15 ad “Aspettando Cortina In-Con-Tra 2007” La manifestazione diretta da Iole ed Enrico Cisnetto. nel dibattito condotto dallo stesso Cisnetto “Tv volgare, ora basta!”, Vittorio Feltri, Claudio Lippi e Gianni Minoli discuteranno dei mali dell’ elettrodomestico più amato dagli italiani e della scomparsa dei programmi di qualità…

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Ricordo di un grande del cinema
Due giorni, il 25 e il 26 gennaio, dedicati a Mario Gallo, un uomo che da produttore e da critico, da sceneggiatore e regista ha vissuto il cinema rendendolo più grande. Con lui hanno lavorato, tra gli altri, Fellini, Visconti, Bellocchio, i fratelli Taviani, Nanni Moretti, Marco Tullio Giordana. Alla fine della proiezioni di alcuni dei capolavori che ha contribuito a costruire, il 26 ci sarà un ricordo di molti dei registi, critici e intellettuali di grande valore che hanno vissuto e lavorato accanto a lui

Omaggio a Mario Gallo
Casa del Cinema - 25-26 gennaio 2007
in collaborazione con la
Fondazione Centro Sperimentale di Cinematografia-Cineteca Nazionale

GIOVEDÌ 25
SALA DELUXE ore 15
La villeggiatura
di Marco Leto
Italia, 1973, 112’
Copia proveniente da Centro Sperimentale di Cinematografia-Cineteca Nazionale

ore 17
Ecce Bombo
di Nanni Moretti
Italia, 1978, 103’

ore 19
Morte a Venezia
di Luchino Visconti
Italia, 1971, 135’
Copia proveniente da Centro Sperimentale di Cinematografia-Cineteca Nazionale

ore 22
Le stagioni del nostro amore
di F. Vancini
Italia, 1965, 100’
Copia proveniente da Cinecittà Holding

VENERDÌ 26
SALA DELUXE ore 15
Maledetti vi amerò
di Marco Tullio Giordana
Italia, 1980, 84’
copia proveniente da Filmitalia

ore 17
Presentazione del ibro
“Cinema e dintorni”
di Mario Gallo

Incontro con Giuliano Amato Nicola Badalucco Callisto Cosulich Marco Tullio Giordana Giorgio Ruffolo Bruno Torri Florestano Vancini

ore 20.00
Il deserto dei Tartari
di Valerio Zurlini
Francia, Germania, Italia, 1976, 150’

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Sabato 20 Gennaio 2007 di GIULIO MANCINI

Per spiegare gli orrori del Maligno ha proiettato ”L’esorcista” in classe, tra ragazzini di undici e dodici anni. Senza considerare non solo il divieto di visione ai minori ma, soprattutto, le conseguenze terrorizzanti tra gli spettatori adolescenti.
E’ successo a Ostia, nella scuola media ”Caio Duilio”. Autore dell’iniziativa un professore di religione che ha approfittato della sua ora di insegnamento per affiancare la didattica con il film che ha fatto storia nel genere dell’horror. L’episodio, verificatosi martedì 16 nella succursale di via Mar dei Caraibi, è venuto alla luce soltanto ieri, quando il genitore di uno dei ragazzi ha denunciato le conseguenze che il figlio, di 12 anni, sta sopportando da quel giorno. «Mio figlio racconta sbigottito il papà dello studente di seconda media da allora ha paura ad addormentarsi da solo e fa la pipì a letto. E’ rimasto terrorizzato e se continua così dovrò far ricorso ad uno psicologo».
Secondo il racconto del bambino, il professore nella mattina di martedì avrebbe raccolto le classi seconda e terza di una stessa sezione per proiettare ai ragazzi ”L’esorcista”. Non visti, si sarebbero intrufolati tra le sedie allineate anche due ragazzini della prima classe. Non è ben chiaro se la visione sia stata preceduta da una spiegazione che, in qualche modo, preparasse i piccoli spettatori alle cruente scene contenute nella pellicola. Fatto è che già dopo le immagini più paurose, a circa metà della proiezione, una bambina si sarebbe allontanata dall’aula chiedendo di tornare a casa.
Ieri, anche in mancanza di segnali da parte della scuola, la protesta è esplosa tra i genitori. «I bambini sono rimasti scossi», sostengono alcune mamme.
Impossibile contattare il professore protagonista della vicenda. L’insegnante ieri pomeriggio era all’università e non è stato raggiungibile neanche dalla dirigenza della scuola che ha tentato per tutto il pomeriggio di trovarlo.
«Siamo sbigottiti commenta il vicepreside della ”Caio Duilio”, Francesco Servidio e chiederemo le più ampie spiegazioni. Questa vicenda non era assolutamente a nostra conoscenza e, in ogni caso, qualunque sia stata la motivazione che ha indotto l’insegnante a proiettare quel film, non è un fatto ammissibile». Insomma, la dirigenza scolastica non solo non ha autorizzato la proiezione ma neanche era a conoscenza delle conseguenze denunciate dai genitori. «A questo riguardo prosegue il vicepreside Servidio - Mi sono sentito con la dirigente scolastica, la professoressa Paola Marchei, e c’è tutta l’intenzione di procedere con iniziative in linea con il rigore della nostra scuola, distintasi da sempre per serietà e coerenza dei propri insegnanti».
Il docente ”sotto accusa” è un laico, nel senso che pur insegnando religione non veste gli abiti sacerdotali. Come tutti i suoi colleghi competenti nella medesima materia, la sua nomina presso la scuola pubblica è stata disposta dal Vicariato di Roma. «Informeremo il Vicariato domani stesso (oggi n.d.r.)» anticipano i vertici della ”Caio Duilio”.
Oltre che la violazione di un divieto espresso dalla legge, quello della visione a minori di 14 anni, la proiezione del film implica considerazioni anche di opportunità. Lascia riflettere, infatti, che per affrontare il tema religioso si sia scelta una trama che presenta una ragazzina indemoniata assistita da un prete esorcista che guarisce la bambina ma, restando lui stesso impossessato, sceglie la via del suicidio.
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MIGUEL E I DESAPARECIDOS ALLA CASA DEL CINEMA

In memoria Miguel Benancio Sanchez, maratoneta-poeta scomparso nel 1978, e di tutti i desaparecidos della dittatura militare argentina una giornata tra cinema e teatro è organizzata per oggi alla Casa del Cinema di Villa Borghese in concomitanza della Corsa di Miguel organizzata per domani. Si comincia alle 18,30 con la proiezione di “Kamtchatka”, opera del 2002 di Marcelo Pineyro che racconta il dramma degli oppositori al regime scomparsi in Argentina attraverso le vicende di una famiglia che si spezza tra angoscia e ingenuità. Alle 20,15 andrà in scena “Lettere dall'inferno” testo del regista e drammaturgo argentino Daniel Fermani, con Laura Sales che interpreta, tra parole, immagini e musica, il dramma di una donna gettata dall'aereo e ormai in fondo al mare. Infine alle 20,45 in anteprima, la versione originale con sottotitoli in francese di “Cronica de una fuga”, il film che racconta la storia di Claudio Tamburrini, portiere del Almagro, che riuscì a fuggire dal centro di tortura dove era segregato. Lo stesso Tamburrini sarà presente all'incontro dopo il film.
Casa del Cinema, largo Marcello Mastroianni 1, info 06/423601.
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"VISIONI CLANDESTINE" AL CINECLUB DETOUR
Prosegue l'iniziativa del Cineclub Detour per far arrivare al pubblico quelle opere cinematografiche che non hanno trovato distribuzione. Si tratta spesso di opere prime che, in questo modo, possono essere viste e giudicate direttamente dal pubblico. Stasera alle 21,30 è in programma la proiezione di "A gennaio" opera prima di Luca Calvanelli, quarantenne architetto romano che ha portato sullo schermo la storia di un difficile rapporto d'amore tra un intellettuale tedesco e una fotografa napoletana. Dopo la proiezione è previsto l'incontro con l'autore. Cineclub Detour, via Urbana 47 (Esquilino), info 06/45490845

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Schierati in prima posizione i dirigenti di Raicinema: Giancarlo Leone, amministratore delegato, Carlo Macchitella, direttore generale e Filippo Roviglioni di 01, la distribuzione della pellicola. Qualcuno spera di conoscere Kerry Kennedy: la signora è lontana da qui. Ma è rappresentata dai dirigenti italiani della Fondazione capitanata da Federico Moro. Nella sala Petrassi incontriamo: da Giovanni Minoli con la moglie Matilde Bernabei, a Paolo Ruffini, da Neri Marcoré all’editore Elido Fazi, dall’on. Dario Franceschini ad Antonio Catricalà, da Fabrizio Gifuni con la sua Sonia a Mimmo Calopresti, da Giuliana De Sio al presidente della Provincia Enrico Gasbarra con la moglie Roberta, da Paolo Bonolis a Francesco Gesualdi, collezionista di cimeli di Robert.

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Come molti lettori ricorderanno, Happy Days (1974, 255 puntate) è un teen drama ambientato negli Anni '50, in un'improbabile provincia americana non ancora sfiorata dai problemi delle società avanzate.

Il telefilm ha per protagonisti tre bravi ragazzi, la famiglia di uno di loro e l'amico «ribelle» dal cuore d'oro, Arthur Fonzarelli, detto Fonzie. Studiano alla Jefferson High School di Milwaukee e si ritrovano alla tavola calda di Arnold. Dalla puntata pilota, George Lucas ha tratto l'idea di American Graffiti. Uno dei protagonisti è il futuro regista Ron Howard. Alla predica, gli americani preferiscono la fiction, preferiscono cioè raccontare storie in cui possano incarnarsi alcuni valori con forza quasi allegorica.
Happy Days ha sempre messo in scena, con un linguaggio più innovativo delle sitcom dell'epoca, il valore dell'amicizia. È un inno molto nostalgico al gruppo, alla fratellanza. Ha temi in comune con Ecce bombo ma senza pretese autoriali. E Fonzie si incarica appunto di rappresentare una sorta di devianza temperata (dietro la quale però si nasconde l'uccisione simbolica del padre, papà Cunningham), di ribellismo interiore. Wow, quello che ci manca!

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Alessandra Farkas per il “Corriere della Sera - Magazine”

È l’enfant prodige ingaggiato dal “Washington Post” per rilanciare il quotidiano dello scandalo Watergate e il suo settimanale “Newsweek”, entrambi in crisi. «La mia scommessa è applicare la stessa filosofia iperlocale per un grande sito nazionale come il WashingtonPost.com», spiega Rob Curley, 37 anni, uno dei più acclamati e premiati web developer al mondo, reduce dal successo strepitoso ottenuto reinventando sul web diversi quotidiani locali. «Il debutto è previsto tra marzo e aprile».

Fa subito una premessa: «Dissento con chi profetizza per i giornali cartacei la stessa fine dei 33 giri», precisa Curley, «Credo che il “prodotto stampa” sopravvivrà. Ma come uno dei tanti media con cui raggiungere il pubblico ed informarlo». Secondo Curley, esistono due tipi di editori di giornale. «Quelli che pensano che la parte più importante della parola newspaper sia news (notizie), e quelli che pensano che sia paper (carta). Chi lavora per un editore convinto che paper sia la parte più importante della parola, farebbe meglio a tener pronto il curriculum vitae».

La vera sfida del futuro è avere il coraggio di cambiare, comprendendo che il pubblico oggi accede alle informazioni in maniera diversa rispetto al passato. «Io lavoravo per un giornale dove, se succedeva qualcosa di grosso in Israele alle nostre 7 di mattina, il direttore decideva di pubblicare la storia nell'edizione del giorno dopo. “Perché così facciamo da decenni”, diceva. L’indomani, quando i lettori si svegliavano, trovavano una notizia vecchia di 24 ore. Con internet e i canali all news, i giornali non possono continuare a fingere d’essere gli unici sulla piazza».

SETTIMO, PERSONALIZZATE IL RAPPORTO
Per questo i giornali che pensano d’essere l’unica - o la migliore - fonte di notizie falliranno. «Avere un posto a tavola spesso è meglio che essere a capotavola. Solo chi sposa questa filosofia sopravvivrà». Per l’editoria, Curley offre una ricetta in sette punti che mettono in prima linea il web.

Primo: siate i padroni assoluti delle news. «Non lasciate mai che un altro mezzo di comunicazione arrivi prima di voi con una notizia, soprattutto locale. Appena avete uno scoop, lanciatelo subito sul Web, sul cellulare, negli abbonamenti e-mail. Dovete abituare gli utenti a indirizzarsi a voi più volte al giorno, quando succede qualcosa di importante. I giornalisti tradizionali temono di far concorrenza a se stessi se mettono l’esclusiva prima sul sito che sul giornale. Ma nella nuova era, quest’approccio è suicida».

Secondo: agite localmente. «Internet è una fonte globale d’informazioni, ma mentre tutti hanno accesso alle notizie nazionali e internazionali, sono le news locali a qualificare e valorizzare il sito dei giornali. Vincerete entrando nei dettagli di tutto: dallo sport universitario alla politica locale».

Terzo: adottate «database». «Liste di cinematografi, ristoranti, chiese, informazioni fiscali, piccola pubblicità immobiliare, allerte sul crimine. Qualsiasi informazione per la quale si può fare una ricerca deve essere offerta dal sito. Il pubblico vuole questi dati e dobbiamo fare in modo che sappiano che il giornale gliele può fornire».

Quarto: non dimenticate il multimedia. «Video, audio, animazioni flash devono essere tutte parti chiave degli strumenti utilizzati dal nuovo giornale. Youtube.com e iTunes hanno successo proprio per questo. Il multimedia è un importantissima parte di internet. Se il vostro editore non ha mai sentito parlare di Youtube o iTunes, cercate un altro lavoro».

Quinto: privilegiate il contenuto «sempreverde». «Sono i dati inseriti solo una volta che però durano per sempre. Liste spesso già presenti nel giornale cartaceo, come elenchi di farmacie o teatri, che vanno solo raggruppate e messe in evidenza sul Web. Talvolta il contenuto “sempreverde” deve essere creato ex novo. Può essere qualsiasi cosa: la storia della vostra città, tutte le informazioni sulle persone famose che ci vivono, oppure una sintesi dei risultati delle partite locali».

Sesto: diffondete le news con tutti i mezzi possibili. «Giornali. Web. Posta elettronica. iPods. Cellulari. Al momento i giornali dovrebbero impegnarsi a sviluppare proprio i collegamenti coi telefonini».

Settimo. Accertatevi che il giornale non sia un monologo, ma un dialogo col pubblico. «Può un lettore pubblicare un commento su una storia? Possono i lettori contattare facilmente un giornalista o il redattore? Ci sono blog accessibili al pubblico sul vostro sito internet? Un lettore ci può pubblicare facilmente una sua foto, un video? Queste sono le domande da porsi. Penso che la grande opportunità della nostra industria oggi è mostrare ai “lettori” che vogliamo veramente dialogare con loro, soprattutto quando ci sono eventi che colpiscono direttamente la comunità».

Bastano questi sette punti? «È fondamentale in questo momento comunicare ai nostri lettori che siamo importanti sia dal punto di vista dei contenuti che da quello tecnologico. Alcuni giornali europei sono molto aperti a provare cose nuove», sostiene Curley. «Penso allo strepitoso successo dei quotidiani gratuiti. Anche i cartacei europei sono più avanzati di quelli americani, grazie ad iniziative come l’invio di sms sui telefonini». Ciò non significa però che i giornali europei siano immuni ai problemi che affliggono i cugini americani.

«Penso, e non sono il solo, che gli editori di giornali europei che credono che i problemi dei giornali americani siano unici degli Stati Uniti, fanno un grosso errore. Se gli affari oggi vanno bene - e sinceramente non saprei se crederlo, - consiglio loro di mettere subito a punto un’aggressiva e lungimirante strategia per il futuro. Evitando di essere presi dalla disperazione. Ci sono molti giornali negli Stati Uniti le cui nuove strategie sembrano proprio atti di disperazione».

A dare una mano a Rob Curley, nella sua crociata per salvare Washington Post e Newsweek (naturalmente non parla dei suoi progetti, «sono solo uno dei protagonisti del progetto», si limita a precisare) è un folto e agguerrito gruppo di lavoro. «Tutta gente più giovane e brillante di me», spiega. «C’è un dettaglio, però che vorrei sottolineare perchè è interessante: si riferiscono alle organizzazioni che producono musica come “case discografiche”. Eppure nessuno di loro ha mai comprato un disco. Comprano cd, forse cassette, e sicuramente usano gli mp3, ma non dischi veri e propri, eppure le chiamano ancora così queste compagnie».

LA LEZIONE DELL’ARALDO
L’analogia tra giornali e case discografiche, teorizza Curley, è perfetta. «In futuro ci chiameranno ancora newspapers, anche se il nostro contenuto sarà fornito in ogni formato, eccetto che su carta. Saremo ancora newspapers ma il nome vorrà dire “l'organizzazione che documenta i cambiamenti in campo sociale”. E lo fa in tutti i modi graditi al pubblico».

“Una delle mie frasi preferite, a proposito del futuro del giornalismo, è stata pronunciata 75 anni fa dall’editore di un piccolo quotidiano di campagna del Kansas. William Allen White era un editore molto influente nell’America dell’epoca, uno dei miei eroi e non solo perché veniamo dallo stesso stato: “Finché ci sarà vita, qualcuno dovrà fare l'araldo”, scrisse White in una corrispondenza privata del 1931, “qualcuno dovrà raccontare la notizia del giorno. Un giornalista è una pianta perenne chiamata in molti modi. Ma non so se in futuro la sua storia sarà dattilografata e stampata. Ne dubito seriamente. Credo che la maggior parte dei macchinari impiegati oggi per stampare le notizie del giorno, della settimana o del mese saranno gettati nella spazzatura alla fine di questo secolo e diventeranno arcaici come la campana dell'araldo. Credo che nuovi metodi di comunicazione sostituiranno i vecchi».

Conclude Curley: «White, è la dimostrazione di come la passata generazione di editori fosse molto più lungimirante e profetica dell’attuale. Un’ultima lezione, che ho ricevuto da un altro collega, Bill Snead, con cui ho lavorato al Lawrence Journal-World, diceva: “La cosa più importante che possiamo fare è avere un rapporto con i nostri lettori, una relazione che valga per loro tanto quanto per noi. Essere un grande giornale non riguarda il “mezzo”. Non significa tanto se esisterà ancora la versione cartacea: l’importante è il rapporto con i lettori».
Dagospia 22 Gennaio 2007
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1 - Domenica sera, titoli del Tg1 delle 20, uno attira l'attenzione: "migliaia i casi di poligamia in Italia". Vediamocelo, no? In fondo è la nuova forma di schiavitù, Europa style. Arriva una bella intervista, di quelle provocatorie, al dottor Mohamed Baha el Din Ghrewati, medico siriano, ex presidente della moschea di via Padova a Milano, influente membro dell'Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia.
Che ci spiega che la poligamia è un diritto sancito dal Corano, che se a lui fa piacere avere quattro mogli non è giusto impedirgli di farlo legalmente e pubblicamente, che la poligamia è amore ed è anche giustizia sociale perché il poligamo rispettoso di Maometto le donne le mantiene tutte, e così la donna ha qualcuno che se la tiene.
Basta con la clandestinità, la poligamia fa contente le femmine e i maschi, l'Italia deve regolarizzarla. Capito? Fine dell'intervista. Vediamoci adesso, una si dice, il servizio che segue, qualche racconto di donne sposate con l'inganno e poi abbandonate, un bell’editorialone tuonante contro la pratica, l'annuncio che l'Ucoii, già molto chiacchierata sull'argomento mogli ripudiate, ora deve lasciare la Consulta del ministro dell'Interno. No, finisce lì, finisce così. Grazie, Riotta

2 - Come sono gli americani, avanti, sempre più avanti. Noi a sbatterci sul cognome da scegliere, quello del padre, no, della madre, tutt'e due, no sarebbe troppo semplice; noi ancora a chiamare le figlie Deborah e Selvaggia, e loro se ne arrivano con Timberland e Cartier. E' una nuova moda. Quella di chiamare i propri figli con i marchi più celebri come Guinness, Hyundai, Cristian Dior.

E se per caso si sceglie Chanel, c’è da augurarsi che a mamma e papà non venga in mente di arrivare al mitico numero 5. Del resto le statistiche parlano chiaro: solo nel 2006, negli Usa, 353 bambine sono state chiamate Lexus, come la macchina giapponese, mentre a 298 maschi è stato affibbiato Armani in onore dello stilista italiano.

Ma piacciono anche Timberland e Cartier. E mentre in America si punta al marchio più alla moda, in Brasile si preferiscono nomi decisamente più calcistici. Nello stato di Rio de Janeiro molti bambini si chiamano Flazico, una crasi delle parole Flamengo, squadra di calcio di Rio, e Zico uno dei suoi giocatori più rappresentativi. Però c’è anche chi si chiama Rimet, come la coppa, oppure pentacampeao, ovvero cinque volte campione del mondo. Così appare assolutamente normale sentir chiamare il proprio figli Gool. Basta non urlargli durante le partite.

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8 - Da “La Stampa” – Al più tardi una settimana. Il sì ufficiale di Moretti al Film Festival è appeso a una manciata di giorni. Ma un sì con riserva, quello c’è già, ed è quanto basta ad accendere gli animi. «La parola fine non la possiamo ancora mettere - dice Steve Della Casa, presidente della Film Commission - ma sono ottimista: Moretti si è riservato un periodo di tempo per valutare il progetto di un Festival totalmente rinnovato, a cui Alberto Barbera, direttore del Museo del Cinema, sta lavorando. C’è insomma la sua disponibilità, e questo è già un fatto molto positivo. Speriamo che la vicenda si chiuda presto: avere Moretti a Torino sarebbe come vincere un terno al lotto». E poi c’è Berlino alle porte: «Quella sarà la prima ribalta internazionale dove ci presenteremo con il nuovo direttore. I tempi sono davvero stretti».
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1 - TV, VINCE IL CALCIO LIVE…
Luca Veronese per “Il Sole 24 Ore”
Basta chiacchiere. In televisione gli appassionati di calcio vogliono vedere le partite in diretta. Snobbano anche gli high light, le cronache a caldo dai campi che fino a qualche anno fa erano il pezzo forte della domenica. E non ne possono più di discussioni, polemiche e moviole. Per il calcio sul piccolo schermo la rivoluzione è cominciata da tempo: in Italia da quando è arrivata la pay tv, prima con Telepiù e Stream, poi e soprattutto con Sky. Ma questa stagione — o almeno il girone di andata appena terminato — marca un'ulteriore discontinuità con il passato: gli scandali dell'estate e la vittoria dei Mondiali in Germania hanno modificato il rapporto del pubblico con il pallone.

Audience spietata - Come si fa a parlare di arbitri dopo tante intercettazioni (e imbrogli evidenti)? Come ci si può fidare non tanto del calcio in sé, ma di chi ne parla dopo aver scoperto che il marcio può accomunare dirigenti,giocatori, arbitri e autorevoli (o presunti tali) giornalisti?
L'audience ottenuta nel week end da tanti programmi sportivi risente di queste vicende. Con la Juventus in B, inoltre, era inevitabile per la Serie A subire un contraccolpo: anche in questo caso tuttavia a soffrire non sono stati il calcio live ma le trasmissioni fatte di parole.

2 - E IL SATELLITE SUPERA SIMONA VENTURA… Francesco Siliato per “Il Sole 24 Ore”

L'ascolto dell'insieme dei canali satellitari ha superato il 15% nelle ore pomeridiane dedicate al calcio giocato: è successo, ed era la prima volta, domenica 14 gennaio, nell'ultima giornata del girone d'andata di Serie A.

È un valore più elevato di quello prodotto da “Quelli che il calcio” in onda sulla seconda rete Rai, i cui discorsi calcistici si fanno sempre più vaghi e confusi nelle nebbie del gossip e nelle anse da varietà e pubblicità in diretta.

Il calcio giocato sembrerebbe dunque ricrescere, dopo esser stato trascurato quando era il calcio parlato a dettare i risultati. I 2,2 milioni di persone che hanno seguito la tv via satellite, nel pomeriggio di sette giorni fa, sono però la somma dei telespettatori di tutti i canali satellitari, ed anche se rimane il valore più elevato tra tutte le domeniche, non è detto dipenda da una crescita di presenze sui canali calcio, e non da un maggior pubblico sui canali cinema o sui canali per bambini.

5 - PICCOLI PRODUTTORI CRESCONO
Sarà il cognome, sarà la qualità professionale o chissacché: la Wilder, società di produzione di Lorenzo Mieli, è stata acquistata da Fox Channels Italia per la quale sta già realizzando Boris, una fiction un po’ autoreferenziale sul mondo della tv. Ma il marchio di Mieli veicola un piccolo network che, dopo il successo di Il Buttafuori con Valerio Mastandrea (in arrivo la seconda serie), ha realizzato alcuni documentari per Cult, lavora per Rai educational di Giovanni Minoli, per L’altra storia di Pigi Battista (La7) e sta preparando un talk show musicale per Mtv.
Dagospia 22 Gennaio 2007
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(Apcom) - Sharon Stone non avrebbe dovuto girare la scena più famosa di "Basic Instinct" senza biancheria intima: fu il regista Paul Verhoeven a convincerla facendosi nel contempo consegnare le mutandine - che, rivela lo sceneggiatore Joe Ezterhas al tabloid The Sun, non ha mai restituito alla bionda attrice. Da ben quindici anni dunque lo slip - migliore attore non protagonista, per non dire in absentia, della scena dell'intervista - langue nel cassetto del regista, che "non ha probabilmente alcuna intenzione di venderlo", ha concluso Ezterhas per l'eterno rammarico dei feticisti cinefili.

(Adnkronos/Cinematografo.it) - Soddisfatto e' dir poco. Lo strabiliante successo di 'Manuale d'amore 2' ha un sapore particolare per Giovanni Veronesi: 6.199.674 euro all'esordio in sala, con cui la sua commedia corale con Verdone, Scamarcio e Volo doppia il parziale de 'La ricerca della felicita'', apre a piu' del doppio del precedente capitolo e strappa il secondo incasso di sempre tra i film italiani dopo il 'Pinocchio' di Benigni. "Difficile riuscire a condividere il mio entusiasmo'', commenta il regista al sito Cinematografo.it, affidandosi poi a una coloritissima espressione, decisamente sopra le righe.

''Godo moltissimo perche' i critici avevano bistrattato il film, prendendolo con leggerezza e prevenzione. Il mio era un successo annunciato e a qualcuno -dice Veronesi- deve aver dato fastidio". Piu' che rivalsa, c'e' pero' rammarico in Veronesi: "Tengo molto alle critiche, ma per aiutare noi registi dovrebbero essere piu' costruttive. Leggere autorevoli firme del 'Messaggero' e 'Repubblica' pensarla in maniera diametralmente opposta, non ha fatto questa volta che confondermi le idee". Piu' che un fenomeno nuovo si tratta pero' secondo Veronesi di un antico vizio: "E' sempre la solita storia. La conferma che da 50 anni a questa parte -spiega- in Italia non si sappia recensire la commedia. Basti pensare che a farne le spese era stato addirittura 'Lo sceicco bianco'".

La risposta in sala sembra tuttavia confermare l'impermeabilita' del pubblico alle tiepide critiche che avevano preceduto l'uscita del film: "L'elemento interessante di questo risultato - prosegue Veronesi - e' che rivela lo straordinario ruolo avuto dal passaparola. La partenza di venerdi' era stata esorbitante, ma in due giorni si e' piu' che raddoppiato l'incasso".

Il traguardo raggiunto va pero' oltre ogni aspettativa dello stesso regista: "Pensavo che 'Manuale d'amore 2' avrebbe bissato gli incassi del primo film - dice - e che al limite avrebbe portato a casa qualcosa in piu'. Con gli argomenti toccati e il fatto che si trattasse di un sequel c'era pero' anche il rischio di perdere terreno". Il segreto di questo successo, spiega ancora Veronesi, e' pero' tutto nella qualita' del film: "Questo film e' due volte piu' bello del precedente, sia come sceneggiatura, profondita', e recitazione, che come regia e qualita' complessiva del prodotto". La piu' grande soddisfazione, conclude, e' ora nella risposta del pubblico e lo storico piazzamento alle spalle di 'Pinocchio', tra piu' grandi successi italiani di sempre: "Essere medaglia d'argento dopo Benigni, che ha preso tre Oscar ed e' il mio mito, e' una lusinga straordinaria. Quando lo scoprira' mia madre -dice Veronesi- pensera' che il figlio e' riuscito a combinare qualcosa di buono".
Dagospia 22 Gennaio 2007
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2 - FASTWEB: NASCE BABLEGUM, LA TELEVISIONE GLOBALE SU INTERNET
(Agi) - Bablegum: l'idea della televisione delle televisioni su internet e' di Fastweb che si appresta a lanciare il servizio entro il primo marzo. A spiegare il progetto e' il patron della societa', Silvio Scaglia, in un'intervista ad 'Affari e Finanza'. "Quando il servizio sara' operativo", afferma il manager, "saranno gli utenti a determinare i propri canali, a segnalare cioe' le cose che desiderano vedere. Si potra' fare, ad esempio, un canale 'Vela', se uno e' appassionato, e Babelgum mandera' in onda tutto cio' che sulla rete c'e' di filmati relativi alla vela. E cosi' per altri soggetti". Nessuna melassa: Babelgum sapra' scegliere in base ai desideri dell'utente: "C'e' tutto un meccanismo molto sofisticato che provvede a selezionare quello che circola in Rete, in modo da far arrivare solo quello che interesse", dice Scaglia. Babelgum scavera' nel web e lo fara' gratis. Il guadagno per Fastweb sara' nella pubblicita': "L'utente seleziona, ad esempio, vela, sci, motociclismo e tennis. E noi manderemo qualche annuncio che riguarda questi settori. Pubblicita' mirata e non fastidiosa. In compenso, l'utente potra' usufruire di Babelgum in maniera assolutamente free, gratis", conclude Scaglia.

  Statistiche web e counter web