TUTTO BAVA

Tutto Bava, dall'horror ai vampiri e la fantascienza

di FRANCESCO ALO'

Quanto ci manca Mario Bava? Enormemente. L'ex direttore della fotografia ed effettista speciale che faceva i mostri con la trippa rappresenta quell'approccio inventivo e spiritoso al cinema di genere che ha insegnato tutto a Hollywood (Corman, Scorsese, Landis, Burton, Dante e Tarantino lo considerano un maestro) e molto poco a noi italiani.
Allora ricordiamoci di Bava, magari attraverso l'imperdibile rassegna completa del suo cinema che il Cineclub Detour (Via Urbana 47a, 064872368) organizza con la rivista “Sentieri selvaggi” (www.sentieriselvaggi.it) da domani al 1 novembre. «Bava riusciva a fare l'insalata di pollo con la merda di pollo», diceva John Landis. Con due-lire-due questo figlio d'arte sanremese trasferitosi molto piccolo a Roma, dirigeva film di grande atmosfera, colori sgargianti e strabilianti effetti visivi. Vedremo e rivedremo i suoi horror gotici La frusta e il corpo (1963; venerdì 21, ore 23), La maschera del demonio (1960; domenica 23, ore 21.30; dopo I vampiri , che Bava realizzò in coppia con Freda, fu il nostro primo grande horror), Gli orrori del castello di Norimberga (1972; martedì 1 novembre, ore 20.30) e I tre volti della paura (1963; lunedì 24, ore 20.30).
Ci sposteremo poi sul thriller all'italiana che non esisteva prima de La ragazza che sapeva troppo (1962; sabato 22 ottobre, ore 22.30) e Sei donne per l'assassino (1964; sabato 22, ore 21; qui nasce l'omicidio filmato come una delle belle arti). E che dire dell'unico Bava fantascientifico di Terrore nello spazio (1965; lunedì 24, ore 23.30) se non che Dan O'Bannon, quando scrisse il soggetto di Alien , scopiazzò parecchio questo gioiellino a basso budget? D'altronde anche Fellini copiò il suo Operazione paura (1966; martedì 25 ottobre, ore 21) per Toby Dammit .
Certo, il nostro ha fatto anche film mediocri e pessimi per assenza di rigore («Ho il torto di accettare tutti i lavori che mi propongono») ma in una filmografia di venti opere sono più quelle memorabili. Da noi il cinema di genere è quasi morto. Di Bava è necessario recuperare quell'autoironia hitchcockiana sul mestiere del regista («Perché i critici francesi mi adorano? Perché sono più fessi di noi»). Lui era un genio che giocava a fare l'artigiano («Sono un artigiano romantico, di quelli scomparsi. Ho fatto il cinema come si fano le seggiole»).

da Il Messaggero del 21 ottobre

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